Ismea e Qualitivita fotografano la realtà italiana: bene la produzione. Bene l'export. Ma serve una svolta per non diventare uno tra i tanti. Anche investire in comunicazione

Il Rapporto Ismea Wine & Food 2016 realizzato con Qualivita, è un’istantanea in bianco e nero dove la differenziazione rimane la peculiarità su cui puntare, ma che dovrebbe trovare i colori giusti per far sì che un trend positivo e una caratterizzazione unica diventino non ostacolo, ma slancio per trasformare l’enologia italiana in una potenza macroscopica fatta anche e soprattutto di microscopiche realtà.

Quello che stiamo vivendo è un passaggio cruciale. Un momento di cambiamenti epocali: sociali, politici ed economici. Mantenere salda la propria identità è certamente fondamentale. Ma intorno a questa è ora che il Paese costruisca nuovi modelli strategici che riescano a parlare attraverso una voce quanto più possibile unitaria. Il potenziale dei social media e dell’e-commerce va conosciuto, riconosciuto e utilizzato. La Grande Distribuzione è un motore che va tenuto sempre al massimo del suo potenziale. Le legislazioni rispettate e migliorate per garantire sicurezza ad addetti ai lavori e consumatori. La “trasformazione intellettuale” che ha fatto del ciò che era “di casa” qualcosa di “tipico” deve da una parte rimarcare e consolidare il concetto stesso di tipicità e, dall’altra, portarla ad una ulteriore trasformazione che rompa definitivamente gli schemi dell’improbabile rendendo possibile ciò che solo ora si inizia a ritenere tale: la piccola e media impresa possono, anzi devono essere protagoniste con le grandi aziende dell’affermazione del vino italiano nel mondo. 

Questa l’analisi confermata dalle parole del direttore generale e della Fonazione Qualivita Marco Rosati e del dirigente sviluppo rurale Ismea Fabio del Bravo. Analizziamo da vicino l’andamento del reparto wine tra certezze e possibilità.

 

Rapporto Ismea Wine & Food: le Indicazioni Geografiche sono il nostro punto di forza

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Prima di focalizzarci esclusivamente sul wine è necessario comprendere lo stato dell’arte dell’intero settore Wine&Food italiano. Siamo primi nel mondo in quanto a numero di Indicazioni Geografiche. Ma quel che più conta è che queste rappresentano in termini economici il 20% del made in Italy agroalimentare nel mondo.

Proprio l’Italia è stato il primo Paese a comprendere l’importanza della certificazione della qualità. La prima ad assumersi al responsabilità di tutelare la biodiversità. Dop, Igp e Bio sono sigle che, per noi, rappresentano l’eccellenza. Sono 814 i prodotti del Wine&Food certificati in italia. Certificazioni che si concentrano soprattutto nel Nord-Est e nel NOrd-Ovest dove il 20% delle province copre oltre l’80% del valore economico dell’intero reparto.

Valore che, nell’agroalimentare, produce 6,35 miliardi di euro. Dato in leggera flessione rispetto al 2014 che però vede risalire i consumi con un imbatto non indifferente soprattutto se guardiamo all’export. Nel Wine&Food italiano sono 140 mila gli operatori e oltre 50 gli organismi di controllo. 

I numeri generali del settore wine

In questo scenario il settore vinicolo registra una produzione certificata di 2,84 miliardi di bottiglie l’anno con un valore alla produzione dello sfuso di 7,4 miliardi di uero. Il 5,8% in più rispetto al 2014. L’export è cresciuto del 7,7%. Un dato dovuto soprattutto al “Sistema Prosecco” che, da solo, ha incrementato la produzione del 57% per un valore stimabile intorno ai 600  milioni di euro.

 

Rapporto Ismea Wine & Food: crescere sì, ma senza portare all’estinzione delle piccole imprese

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L’Italia ha tutti i numeri per diventare una superpotenza nel Wine&Food. Ma ci sono cose su cui sarebbe il caso aggiustare il tiro. L’iperproduzione rischia di sminuire il ruolo di Dop e Igp. L’incapacità dei prodotti di qualità delle aziende medio-piccole di piazzarsi sui mercati creano una paralisi all’intero sistema. L’idea di farle estinguere è quanto di più sbagliato possa esserci. In un Paese dove, lo sottolinea il Rapporto Isema Wine & Food, rappresentano il 75% del comparso sarebbe un suicidio

Lasciarle nella loro microdimensione di qualità così eccellente da essere incomunicabile ed inaccessibile nella globalità altrettanto folle. Mantenere salda l’identità, lo abbiamo detto, è prioritario.

 

Perché la qualità va tutelata

Per capirne le ragioni basta fare un esempio: gli Usa. Se il cibo italiano è sempre stato più che apprezzato, ora lo stesso sta accadendo col vino. Ed è sempre la percezione della qualità a farci scegliere dagli americani. Se l’iperproduzione per la smania di conquistare fette di mercato abbassasse, ad esempio con uno scandalo qualunque, tale percezione ci troveremmo di fronte ad un problema di difficile gestione. Ancor più complesso se si pensa al pensiero nazionalista dell’attuale presidente. 

Di fronte ad una globalità che ha visto fiorire Street Food italiano (solo nel nome) in tutto il mondo con 60 mila attività fisse e 8.500 mobili che, in cucina o a bordo che si voglia, di prodotti garantiti da Indicazione Geografiche praticamente non ne ha, fa capire quanto sia importante la certificazione. Ancor più quanto sia importante adattarla ai nuovi scenari socio-economici di tutto il globo. 

 

La trasversalità geografica come fattore determinante per la futura crescita economica

C’è una tendenza che va invertita. Pensare ai grandi mercati come gli unici che meritano di essere conquistato. La globalizzazione ha fatto sì che si creassero nuove forme di ricchezza anche nei Paesi normalmente considerati come “poveri”. Anzi. Gran parte della ricchezza, oggi, si concentra proprio in queste realtà. Di qui l’importanza di guardare anche ai mercati emergenti. Quelli dove si stanno concentrando le ricchezze di chi investe poi in qualità. Un segnale, da questo punto di vista, viene dal Chianti e dal suo Consorzio che è riuscito ad inserirsi nel mercato sudamericano puntando su una Cuba, all’epoca, ancora castrista. 

Ecco che allora anche il ruolo dei Consorzi deve modificarsi al di là delle belle eccezioni che il Paese è in grado di raccontare. 

 

Rapporto Isema Wine & Food: tutti i numeri del vino. Il comparto Wine nel 2015

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Il comparto Wine conta un totale di 523 riconoscimenti Dop e IGp. 49 mila ettari di superficie vitata e una produzione che arriva intornoa l 50% del vino totale del vino prodotto in Italia. Nel 2015 la produzione Dop e Igp ci ha consegnato il primato mondiale con 23 milioni di ettolitri. Di questi 21 milioni sono finiti in bottiglia. Parliamo di 2,84 miliardi di bottiglie prodotte: il 2,4% in più rispetto al 2014 come racconta il Rapporto Ismea Wine & Food.

L’export dei vini Dop e Igp è cresciuto del 4,5% per un totale di 14,1 milioni di ettolitri portati fuori dai confini nazionali. Un numero enorme se si considera che, complessivamente, di ettolitri di vino ne abbiamo esportati 20 milioni. Una crescita che si è tradotta in maggiori introiti: 4,7 miliardi di euro. Ili 7,7% in più del 2014. E, soprattutto, l’87% del totale dell’incasso dell’intero export. Questo vuol dire che negli ultimi 5 anni il valore delle esportazioni ha avuto incrementi complessivi di oltre il 30% sia nel segmento Dop che Igp con il Sistema Prosecco a fare da padrone.

 

Si cresce sì, ma ad alta ‘concentrazione’

Il primato mondiale della produzione si concentra, leggiamo nel Rapporto Ismea Wine & Food, in tre regioni: Veneto, Piemonte e Toscana. Insieme producono il 56% del totale certificato Dop. Spadroneggia, come detto, il Prosecco Dop. Nel 2015 ha rappresentato con 3,5 milioni di bottiglie il 19,3% della produzione totale superando i 460 milioni di euro in termini di valore: il 20,8% del valore del comparto in tutto il Paese. Successo condiviso con il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Dop che è cresciuto in volumi (+7%) e in valore (+16,2%).

Con numeri così è facile capire quanto sia importante lavorare all’insegna della qualità. E farlo nel rispetto delle altre realtà per evitare quel pericolo di prosechizzazione di cui si è tanto parlato. Altrettanto facile è comprendere i timori dei piccoli produttori friulani di Pinot Grigio che con tanto astio hanno guardato la nascita della nuova Doc delle Venezie. Realtà importante e necessaria se ci soffermiamo sull’aspetto di espansione della produzione necessario per conquistare quante più fette di mercato possibile. Realtà che ha però bisogno di intelligenza nella gestione che il Consorzio ne farà per non incappare in quelle problematicità che potrebbero modificare, in negativo, la percezione che alla nostra qualità danno proprio le Indicazioni Geografiche.

 

I numeri della produzione in valore di sfuso e imbottigliato in Italia

Tornando ai dati complessivi l’Isema registra un valore alla produzione dello sfuso per il vino Dop di 2,24 miliardi (+17,1% rispetto al 2014) e di 754 milioni di euro per le Igp (-2,8%9. Nel complesso le produzioni di qualità sommano a 3 miliardi di euro su un valore complessivo del comparto di 3,8 miliardi di euro. Valore in flessione del 3,1% determinato dalla maggiore disponibilità di vino comune nella vendemmia 2014.

In termini di valore anche l’imbottigliato ha registrato il segno più. Il valore ex fabrica dei vini Dop e Igp è passato da 7,4 a 21,3 milioni di ettolitri: 12,7 Dop e 8,6 Igp.

Guardando ai singoli si noterà come le prime dieci Dop rappresentano il 53% della produzione totale a volume e il 58% a valore. Nell’Igp il dato è ancor più importante: le prime dieci certificazioni rappresentano l’80% del totale sia in volume che in valore. 

Fuori confine sono volati 14 milioni di ettolitri di vino: 4,7 miliardi di valore. L’incremento è stato del 7,7% con sempre il Sistema Prosecco protagonista. Dove esportiamo di più? In Germania, Stati Uniti, Svizzera, Regno Unito e Canada. 

 

Rapporto Isema Wine & Food: web e social media. Senza una buona comunicazione si resta al palo

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Abbiamo detto: differenziazione. E’ questo il nostro punto di forza. Abbiamo anche detto che in un panorama globale la peculiarità della piccola e media impresa italiana non può estinguersi. Non siamo anglosassoni. Il nostro mondo, piccolo ma significativo, può ora parlare a chiunque e in qualunque momento. La comunicazione è lo strumento che abbiamo a disposizione per raccontare tutto il valore delle nostre Indicazioni Geografiche. Già prima dell’estate si parlava di come i protagonisti della filiera vitivinicola avessero iniziato a scoprire il web e i social media. A fine anno Ismea ci dice quanto e se stiamo finalmente comprendendone l’importanza.

 

Perché essere sui social è importante

Dal “semplice” sito web e Facebook, YouTube, Twitter, Instagram, Pinterest ecc…Nessuna realtà, neanche nel mondo del vino, può oggi prescindere dall’essere presente sui social media. Oltre che per la questione “comunicativa” in senso stretto, cioè il farsi conoscere e veicolare le proprie peculiarità, anche per ragioni di tutela. Un elemento, questo, ancora oggi troppo poco considerato. Essere presenti sui social permette di tutelare l’immagine delle produzioni certificate. I new media sono uno strumento ulteriore alla lotta alla contraffazione.

Ecco perché, soprattutto i Consorzi, devono rivedere il loro ruolo. Non solo supervisori, ma soggetti attivi della comunicazione.

 

I Consorzi sui social: ecco quanto e come sono presenti

L’Ismea rileva come il 31% dei Consorzi di Tutela Food&Wine abbia almeno un profilo sui social media per un’utenza complessiva di quasi 2 milioni di fan su Facebool e 4 milioni di visualizzazione su Youtube. Questi i canali con maggiore impatto. Il 45% utilizza i canali social con una frequenza continuativa. Un dato incoraggiante se si pensa che fino a qualche anno fa le pagine o non c’erano o se c’erano erano decisamente statiche. 

I social sono usati soprattutto per raccontare e valorizzare il prodotto di Indicazione Geografica. Questo accade nel 98% dei casi. Altro uso massiccio dei social è la divulgazione di eventi di promozione (86%). La tutela, fortunatamente, c’è. Il 71% dei Consorzi la promuove attraverso i social. La notizia migliore per il Made in Italy. Sul fare rete, però, c’è ancora da lavorare. Meno del 50% dei Consorzi di Tutela interpellati per stilare il Rapporto Ismea Wine & Food lavora in co-branding sui social media. Insomma si continua a coltivare l’orticello su piattaforme che propongono terreni sconfinati.

 

I Consorzi sui social: Facebook, Twitter, Youtube e Instagram. I dati nel dettaglio

Sono state 250 le aziende interpellate per l’analisi Ismea. Andando ad analizzare le preferenze e l’utilizzo dei social media emerge che Facebook resta il preferito con il 31% dei Consorzi attivi. Segue Twitter (19%). Terzo post per YouTube, mezzo che però continua ad ottenere consensi (13%) e Instagram. Solo il 4% delle aziende si affida a questo social network,

Il numero non è di certo sbalorditivo. Le percentuali, a dirla tutta, restano piuttosto basse. Ma chi è presente sui social, piano piano, inizia anche a saperne sfruttare il potenziale. Questa la classifica se parliamo di numero di utenti. Il social del vino più seguito è, a sorpresa, YouTube. I Consorzi con i loro video hanno avuto oltre 4 milioni di visualizzazioni. Sono circa 2 milioni i fan di Facebook e 174 mila i follower su Twitter. Resta al palo Instagram. Mezzo di cui, ad oggi, non sembra si sia compresa l’importanza e ancor prima il modo di utilizzarlo. Sono circa 14 mila i follower che i 250 consorzi contano su questo mezzo.

 

I Consorzi e la comunicazione: ecco quanto e su cosa si investe

Gli investimenti sulla comunicazione ammontano a circa 32 milioni di euro. La televisione rimane il media “preferito” con il 45% di questi ad essa destinati. Ma la tendenza inizia a spostare l’attenzione su altri canali. Rispetto al 2014, infatti, sulla televisione si è investito il 3% in meno delle risorse. Seguono le fiere nazionali. Su queste i Consorzi investono il 21% del totale del budget. Calano e non di poco gli investimenti sulla carta stampata. Il 33% delle risorse, insomma, finisce quasi esclusivamente sui canali web e social.

Poco? Forse. Difficile dire a livello economico quale sia la scelta migliore. Anche perché i new media in termini di investimento richiedono spese inferiori rispetto ai media tradizionali. Ecco che allora, andando ad analizzare gli accessi e non il denaro speso, ci si accorge di come la classifica subisca cambiamenti radicali. Delle 250 aziende interpellate il 59% ha dichiarato di investire nella stampa (+10%), il 46% nel web (+13%) e l’86% nelle fiere nazionali (+16%). 

Insomma, al di là della quantità di spesa, sui social la presenza finalmente c’è. 

Affidarsi ai professionisti della comunicazione diventa insomma sempre più importante per conquistare la fiducia dei consumatori e nuove fette di mercato. Il futuro del vino italiano passa dunque per la qualità: quella del prodotto e quella della comunicazione.