I consumi tornano a salire dopo decenni in discesa. Merito di Doc e Igt. La regionalità e l'autoctonicità fanno la differenza in Italia e all'estero. Ma l'export, che continua a crescere, non tiene il passo con i competitor e l'Italia rischia di perdere terreno

Il “vino della casa” è un ricordo che dobbiamo lasciare all’infanzia. Almeno di quella di chi, a tavola con i parenti, sentiva il papà o il nonno ordinarlo e arrivare in tavola brocche di vino che di certo non avevano etichettatura. Se vogliamo, era un atto di fiducia, ma anche il legame profondo con la vita contadina che di quel legame faceva una certezza. Accadeva così anche in casa, con le bottiglie anonime contenenti il vino del vicino contadino magari, o preso sfuso in cantina. Questa, oggi, è l’eccezionalità.

La globalizzazione forse, o semplicemente l’ampliamento dei mercati, ha dapprima diffuso la cultura dell’amore per l’estero, torando infine a quella territorialità che, però, oggi abbiamo voglia di conoscere e soprattutto riconoscere. I consumi del vino, in Italia, tornano per la prima volta a crescere dopo una discesa vertiginosa. Non sono tornati, e forse mai lo faranno, alle cifre astronomiche di sessant’anni fa quando, proprio il “vino della casa” era la normalità, ma la tendenza conferma quanto già le ricerche statistiche avevano dimostrato. Beviamo meno, ma con più qualità e comunque più di quanto abbiamo fatto fino a qualche anno fa. Con un particolare che fa la differenza: il bere bene, oggi, ci spinge a spendere di più senza alcun rimpianto.

Il 2017, anno funesto per la vendemmia (almeno nella quantità), porta con sé una buona notizia. Torniamo a bere più vino, non solo nei ristoranti e nei winebar, ma anche a casa. E nelle nostre piccole cantine personali sappiamo bene cosa custodire. L’analisi della Coldiretti fa tirare un sospiro di sollievo e scatta una nuova fotografia all’Italia del consumo del vino.

 

Il “nuovo” vino della casa è in bottiglia, preferibilmente Doc, Igt. Segni particolari: territorialità e autoctonicità!

Vino a tavola

Ph: Emiliano De Laurentiis Flickr (uso e modifiche consentite)

 

Un tempo le brocche a tavola, dunque, oggi, sulle tavole degli italiani Doc, Igt e tante bollicine. Nel 2017, infatti, sono aumentati gli acquisti dei vini a denominazione. Le Doc, in particolare, hanno visto un incremento del 5%, i vini Igt del 4% e le bollicine, confermando la tendenza in Italia e all’estero, del 6%. Un dato che emerge da un’analisi Coldiretti fatta sulle rilevazioni Ismea.

Che i nostri gusti si fossero diciamo “affinati” lo si era ormai capito. L’analisi conferma dunque quanto ormai sia vero che la territorialità è l’elemento distintivo al momento dell’acquisto. Se i vini comuni, infatti, calano negli acquisti del 4%, la sempre maggiore attenzione dei consumatori si rivolge sulla qualità certificata e, possibilmente, all’intero dei propri confini nazionali, ancor meglio se nazionali.

E le preferenze la ricerca Iri presentata al Vinitaly si confermano. Lambrusco, Chianti e Montepulciano d’Abruzzo sono i vini più venduti insieme a Barbera, Nero d’Avola, Vermentino, Muller Thurgau e Vermentino. I vini locali, insomma, sono ormai protagonisti nelle tavole degli italiani. E’ un po’ come se si scegliesse ancora il “vino della casa”, ma non per mero atto di fiducia e vicinanza, ma come atto di consapevolezza che è tale per la possibilità di conoscenza data dall’etichettatura a garanzia della certificazione.

Non solo vini nazionali, lo abbiamo detto, ma anche strettamente legati alla propria realtà. Ecco perché l’autoctonicità è davvero l’elemento che fa la differenza. Nei supermercati, infatti, si assiste ad una costante rinascita di vini frutto di vitigni che il boom economico degli anni ’50 e la voglia di internazionalizzazione che ne è seguita, hanno rischiato di far sparire. Su tutti Pecorino, Primitivo, Pignoletto, Ribolla Gialla, Custoza, Valpolicella Ripasso, Negroamaro, Lagrein e Traminer.

 

Il consumo di vino si lega alla consapevolezza, ma la burocrazia frena la possibilità di ascesa

 

vino burocrazia

 

“Il vino italiano è cresciuto scommettendo sulla qua identità, con una decisa svolta verso la qualità che ha permesso di conquistare primati nel mondo e in Italia”. Queste le parole di Roberto Moncavlo, presidente Coldiretti. “Occorre ora sostenere lo sfrozo delle imprese – ha aggiunto – proseguendo sulla strada della semplificazione ottenuta con l’approvazione del Testo Unico “taglia burocrazia”, Frutto di una lunga mobilitazione per liberare le energie del settore più dinamico del Made in Italy”.

Non solo. ci verrebbe da dire. Se da una parte l’esigenza di uscire dal caos burocratico che tra Ocm e scartoffie inutili ci tiene sempre un passo indietro, dall’altra c’è anche quella di accellerare l’approvazione di una legge sull‘enoturismo. Settore che fa molto, ma con un potenziale ancora in gran parte inespresse che invece, proprio perché veicolo di territorialità e autoctonicità, potrebbe essere l’elemento che fa la differenza. Quello capace di raccontare tutta la biodiversità italiana in uno scenario che di ogni sua parte faccia un elemento unico e distinto, ma allo stesso tempo parte di un qualcosa di ben più grande: il sistema del vino italiano.

Un bene per la filiera, per i mercati e per l’occupazione.

 

L’export naviga in acque sicure, ma non tiene testa ai competitor

 

Vino export

 

 

L’altra buona notizia è che l’export continua a far bene. Ma questo “bene” bisogna poi sempre guardarlo nell’ottica della globalità. E le cose potrebbero e dovrebbero andare meglio. Se guardiamo al nostro di mercato, infatti, c’è da esultare. L’export è cresciuto dell’8% rispetto al 2016 e il vino è la prima voce dell’agroalimentare nazionale di questo incremento. Le bollicine restano il must. Da sole, infatti, hanno registrato una crescita del 14%. Ma se allarghiamo lo sguardo vediamo come la crescita non è poi così veloce. Almeno non rispetto ai nostri competitor. Anzi. In un anno il distacco è aumentato soprattutto con la Francia.

In valore, infatti, ci surclassa. Potremmo dire che ci doppia. A fronte del +7,3% dell’Italia, infatti, i cugini d’oltralpe mettono a segno un +13,3%. Peggio ancora se si considerala perdita delle quote che il nostro vino fa registrare anche rispetto a tutti i principali Paesi produttori del vino al mondo. Un dato emerso dalle analisi dell’Osservatorio dei Paesi terzi a cura di Business Strategies e Nomisma-Wine Monitor. Ci sono ad esempio il Cile che cresc ein valore del 9,3%, l’Australia (+13,8%) e la Nuova Zelanda (+16,4%) tanto per citarne alcuni.

Le Dogane ci fanno anche sapere che le vendite nelle 8 principali piazze della domanda mondiale del vino, ci mettono sotto Stati Uniti, dove proprio la Francia ci sta raggiungendo, la Gran Bretagna, la Svizzera, il Giappone e la Russia. Se fosse una partita a Risiko dovremmo rifugiarci nelle nostre roccaforti: Germania, Cina e Canada. Cina che, con una crescita del 21% del consumo del vino italiano, rappresenta comunque un ottimo punto strategico essendo questo il mercato cui tutti sembrano aspirare.

Resta il fatto che, comunque, la Francia nei primi sei mesi del 2017, ha messo in cassa 2,8 miliardi di euro più di noi: il doppio. Le ragioni sono molteplici. Certamente tra queste la difficoltà di pianificare azioni di promozione visto il caos degli Ocm. Caos che, tra l’altro, non accenna a diradarsi.