Dopo il "no" di Fava e settimane di silenzio l'assessore non ci sta a fare il capro espiatorio: il "no" ad un provvedimento lacunoso non vuol dire dimenticarlo, ma il Ministero, afferma, ad oggi non è intervenuto. Di chi è la colpa?

Dopo giorni di silenzio si torna a parlare di Ocm vino che, per l’occasione, si presenta al veleno. A “sputarlo” è l’assessore all’Agricoltura della Lombardia Gianni Fava. Fu lui, il 6 luglio, a votare “no” al decreto nel corso della Conferenza Stato Regioni. Da allora però dal Ministero non è più giunta alcuna voce dando credito, sostiene Fava, a chi ritiene che resti in attesa delle decisioni dei Tar in merito ai ricorsi presentati. Non solo. Per Fava quel ‘no’ era dettato dalla necessità di creare uno strumento molto più competitivo di quanto non sia. Non fare nulla, insomma, è il comportamento meno appropriato e il fatto che non si sia saputo più nulla dimostra che “la colpa” non è in quella negazione.

 

Vino al veleno: Lombardia capro espiatorio, l’assessore Fava non ci sta!

 

vino al veleno gianni-fava

 

La filiera è stata messa in stand-by e i danni potrebbero essere più di quelli di cui già si sente il sentore. E’ innegabile che il clamoroso ritardo sulla distribuzione dei fondi che determinano le azioni di promozione del vino italiano nei Paesi Terzi e dunque dell’export, credi disagio. Impossibile per chiunque pianificare delle strategie non sapendo quanto potrà investirci e non sapendo neanche, a questo punto, se potrà farlo. I tempi sono sempre più stretti e se non ci sarà un’accelerazione le risorse potrebbero andare perse. Almeno in parte.

Certo, alla fine una soluzione si troverà, ma l’operare in last-minute non fa di certo bene ad un settore che come ogni altro ha bisogno di pianificazione. Dopo gli attacchi ricevuti per quello stop determinato dal “no” della Lombardia al decreto, Fava ha deciso di togliersi dall’imbarazzante situazione che lo vede, lascia intendere, come capro espiatorio di uno stallo determinato da altri comportamenti. “Ma come – tuona – la colpa non era tutta della Lombardia?. In queste ultime settimane ho assistito, senza replica e senza commento, a un fiorire di esternazioni e dichiarazioni prevalentemente romana o pugliese, anche se non è mancato il richiamo di qualche pappagallo nostrano proveniente da prestigiosa zona vinicola lombarda, tendente ad accreditare la tesi secondo cui l’Ocm Promozione Vino tarda e rischia di compromettere la progettazione e attuazione delle attività promozionali per il parere negativo reso da Regione Lombardia nel corso della Conferenza Stato-Regioni”.

“La Lombardia – afferma – ha detto no ad un provvedimento che considera ancora oggi lacunoso e lontano dai bisogni reali della filiera. Contestualmente – aggiunge – assieme a tutte le altre Regioni ha però acconsentito alla rinuncia da parte delle stesse al termine di 30 giorni. Trascorsi i quali – sottolinea – il Governo può intervenire con proprio provveidmento, anche in mancanza d’intesa”.

 

Vino al Veleno: a 10 giorni dalla possibilità di intervenire, il Ministero tace

 

Ad oggi però, e cioè 20 giorni dopo l’incontro e con 10 alla scadenza della possibilità del Ministero di intervenire, tutto tace. “Per la Lombarida e, immagino, anche per le altre Regioni e per tutti gli operatori del settore – afferma Fava – era dunque scontato vedere il provvedimento al Primo Consiglio dei Ministri successivo al 6 luglio. E invece no nessun segnale. Neanche in quello dopo e in quello dopo ancora. Chissà – chiede sarcasticamente – quando si degnerà il Consiglio dei Ministri a licenziare un provvedimento stoppato solamente per le bizze della Lombardia, come qualche illuminato esperto di politiche promozionali si è precipitato a sentenziare. Forse a Houston hanno un problema!”, aggiunge rincarando la dose.

Chi ne ha la responsabilità, dice ancora, dovrà risponderne. Ma non ora. Adesso c’è bisogno del decreto e forse è già sufficientemente tardi.

 

Vino al Veleno: l’ennesimo ritardo che fa male all’export italiano

 

vino al veleno export-usa

 

Il ritardo dell’Ocm vino non è una novità. Nel senso che non è la prima volta. E questo è forse il problema più grande. Arrivare sempre alla fine della festa vuol dire non potersela godere e doversi accontentare di quel che è rimasto sul tavolo del buffet. Un male assoluto se si pensa al valore del vino italiano e al suo potenziale che, nonostante tutto, riesce comunque a navigare in acque sicure. Ma tra la sicurezza e il navigare a vele spiegate ce ne passa. Sì, si dirà, alla meta si arriverà comunque, ma probabilmente quando lo scenario sarà nuovamente cambiato e si contiuneranno a rincorrere mete senza mai approdarvi sufficientemente in anticipo per renderle fruttuose.

Sta di fatto che negli ultimi mesi qualcosa storto è andato. Niente di drammatico, né di irreparabile. Ma la dimostrazione che quando si parla di mercato del vino, ancor più di export, non si può arrivare senza una strategia programmata e organizzata perché lo scivolone, in un settore in continua evoluzione e competizione, è sempre dietro l’angolo.

 

I segnali di un malessere non nuovo è nella flessione negli Usa e nel rischio del sorpasso qui e in altri mercati di riferimento

 

Ad esempio negli Usa, e ne abbiamo gioito un bel po’, siamo primi importatori. Ed è ancora così. Ma nei primi cinque mesi del 2017, mentre l’import negli States ha continuato a crescere, quello del vino italiano ha avuto una lievissima flessione: dell’1%. Nulla si dirà. Certamente, ma il dato fa certamente riflettere laddove la tendenza è esattamente l’opposta. Altre nazioni, quali Australia e Nuova Zelanda, si evince dalla ricerca dell’Italia Wine & Food Institute, hanno incrementato e non di poco la loro presenza sul territorio statunitense.

A lanciare l’allarme è stato anche l’Osservatorio Paesi Terzi di Business Strategies che ha effettuato una ricerca insieme a Nomisma Wine Monitor. L’Italia, è questa la poco piacevole sentenza, “rischia di cedere alla Francia lo storico scettro del mercato più importante al mondo: gli Usa”. Sì, in Cina è in recupero e potrebbe prendersi la medaglia di legno della Spagna, ma la verità è che “l’Italia esce malconcia dai primi 5 mesi di export nei Paesi Terzi rispetto ai competitor francesi e cileni”. “I primi – dice l’Osservatorio – perché riescono a impiegare meglio di noi le risorse Ue per la promozione (sì, proprio gli Ocm), i secondi invece cominciano amonetizzare al massimo gli accordi di libero scambio, come in Giappone e Cina”.

E bene non va da nessuna parte, o quasi. Nei sette mercati principali del nostro export, la crescita c’è stata (e lieve) solo in Cina e Brasile. In Giappone, Usa, Svizzera, Norvegia e Corea del Sud il vino italiano cala a differenza proprio dei francesi.

Sarà un altro anno di lotta insomma anche quando il decreto arriverà. Tardi per una strategia definitia, ma ancora in tempo per restare nelle acque sicure che facciamo fatica ad abbandonare.