Si apre il dibattito su questi nuovi vitigni che da una parte rappresentano l'ecosostenibilità, ma dall'altra alzano critiche per il timore di modifiche genetiche. Ne abbimo parlato con un esperto

Quando parliamo di Piwi parliamo di vini innovativi, ovvero di vini resistenti alle malattie funginee. Sono rappresentanti di quel cambiamento culturale che ritrova nell’ecosostenibilità un valore sempre più ricercato. E la scienza è sempre più a disposizione della viticoltura. E’ negli ultimi anni che si sono cominciate a diffondere le varietà di Piwi, in grado oggi di regalarci vini di qualità capaci di entrare nel complesso mercato viti-enologico moderno.

La parola d’ordine è sostenibilità. Minori trattamenti, maggiori possibilità di coltivazione biologica, maggiore resistenza alle basse temperature. E’ questo l’obiettivo. Scopriamone di più.

 

Vini Piwi: la ricerca è avviata in tutta Europa. L’obiettivo: mantenere alta la qualità delle uve, ma dare loro maggiore resistenza

Già da queste poche righe è chiaro come gli obiettivi dei Piwi siano ambiziosi. Sia chiaro: nulla a che vedere con manipolazioni del Dna e tecniche di ingegneria genetica. Sono al contrario il frutto di approcci convenzionali di miglioramento genetico. La tecnica dei Piwi è il breeding classico per cui sono il frutto di incroci di vitigni internazionali (vite europea), con ibridi di viti americane e orientali. Parliamo, in tutti i casi, di vitigni resistenti all’oidio e la peronospora.

Tra i Paesi dove si porta avanti questo metodo di coltivazione per produrre questi vini decisamente innovativi c’è la Germania. Qui tutto è partito dall’Istituto Statale per la Viticoltura di Friburgo. Una ricerca ha permesso quindi di ottenere vitigni piantumati e usati per creare il prodotto finito nella Staatsweingurt Freiburg, la Cantina Statale di Friburgo. Anche la Francia porta avanti studi e ricerche su questa tipologia di vino, investendo su vitigni resistenti chiamati Resdur.

E l’Italia? Ovviamente non manca all’appello con Crea, la Fondazione Mach e Laimburg che stanno lavorando attivamente nel settore. Lo scopo è chiaro: mantenere alta la qualità delle uve della vita europea e, allo stesso tempo, fissare una resistenza stabile alle malattie.

 

Vini Piwi: la genetica ha un ruolo fondamentale. E questo molti lo temono. Il dibattito divide il settore

 

La crescente conoscenza nel campo della genetica ha dato un forte impulso a questo campo di ricerca. Le nuove conoscenze, infatti, permettono di ottimizzare tempi e costi. Grazie alle informazioni ottenute dai progetti di sequenziamento del genoma vite e dai vari lavori di mapping genetico, è infatti ora possibile applicare una selezione assistita da marcatori: la cosiddetta tecnica Mas.

Già un anno dopo dall’incrocio, analizzando il dna estratto dalle foglioline, è quindi possibile individuare e distinguere le piantine con le caratteristiche che interessano. Allo stesso modo si possono selezionare individui con uva potenzialmente aromatica e distinguere piante ad uva bianca o rossa senza dover aspettare anni.

Come tutte le novità non tutti questa la condividono. Sono diversi i produttori che storcono il naso davanti ai nuovi vitigni. E persino la politica ne discute. Al centro del dibattito il fatto che alcuni ci vedano un modo per voler sdoganare gli Ogm. Di conseguenza anche un modo per aggirare le norme sulle etichettature e renderli irriconoscibili ai consumatori. E’ davvero così? Non siamo noi a doverlo dire, ce lo dirà il tempo e il dibattito di chi, del settore, è protagonista.

La storia si ripete e il dibattito non è cosa nuova: fu così anche ai primi del ‘900 quando per ovviare alla fillossera, la vite europea venne ibridata con quella americana e i primi risultati produssero uve dai caratteri enologici pessimi. Eppure quella fase ci ha insegnato molto e fu un vero spartiacque nella storia della viticoltura.

 

Vini Piwi: i fattori che ne spingono la crescita e i timori. La parola all’esperto, il dottor Francesco Emanuelli

dna genoma

Al di là del dibattito che, a ragione, proseguirà, i vini Piwi si affacciano sempre più sui mercati. Le aree coltivate in Italia con vigneti ibridi occupano ormai centinaia di ettari. A favorirne la diffusione anche il trend biologico e biodinamico con l’Europa che l’obiettivo da centrare ce lo ha detto chiaramente: fuori i fitofarmaci dalle vigne.

Per ora nel Bel Paese la legislazione ha permesso di coltivare i vigneti Piwi solo in alcune regioni. E questo perché la tutela della nostra qualità passa anche per i disciplinari Doc che sono un freno ad una modalità di coltivazione su cui solo da poco si inizia a riflettere.

L’esperto

Sul tema abbiamo sentito il dottor Francesco Emanuelli. Nel 2011 è stato ricercatore nel team della Fondazione E. Mach che studiò i geni responsabili dei monoterpeni. Per i profani quei geni che conferiscono il tipico aroma al moscato. Gli abbiamo chiesto come oggi la genetica può aiutarci ad avere uve dal profilo ottimale per la vinificazione. Ecco cosa ci ha risposto.

“Credo sia molto importante ribadire che la qualità delle uve debba essere considerato un punto di partenza imprescindibile per un vino di qualità. E allo stesso tempo i processi tecnologici di vinificazione devono essere costantemente affinati per ottenere il prodotto migliore possibile.

Ad esempio il gene VviDXS è emerso come un regolatore decisivo nella sintesi dei monoterpeni. Sono questi che conferiscono il classico aroma moscato sia nelle uve sia nei vini ottenuti da queste varietà. Molti gruppi stanno già utilizzando da tempo questo marcatore. Infatti permette di distinguere, in fasi molto precoci della selezione, le piante in grado di accumulare questi composti in grandi quantitativi nelle bacche,  da quelle che invece ne accumulano molto poco. Da un punto di vista prettamente commerciale, l’aroma moscato è sicuramente una delle caratteristiche più facili da percepire ed apprezzare da qualsiasi consumatore. Anche da chi è alle prime armi. Questa caratteristica è particolarmente interessante per i mercati relativamente giovani come quello americano e quello orientale”.

Si aprono quindi nuovi scenari per il mondo del vino. In gioco c’è il legame con il territorio che nei Piwi è difficile trovare. C’è al centro del dibattito, però, anche la necessità di abbracciare i concetti di sostenibilità e ecosostenibilità alla luce dell’allarme dettato dai cambiamenti climatici. Seguiremo l’argomento per capire come, a livello nazionale e internazionale, evolverà la riflessione ormai avviatasi sul tema.