La sfida francese di produrre vini di qualità in una zona impervia è vinta. E' la storia di Moet Henney che ha portato qualità e lavoro nel cuore del Tibet

Siamo abituati a vederli bere thè, ma l’Himalaya grazie ad un francese che otto anni fa ha deciso di scommettere sull’argillosità dei terreni della contea di Degin, ora è anche terra di vino. Un vino, a quanto pare, anche di grande qualità tanto da essere venduto ad un prezzo decisamente elevato.

Se fosse un racconto epico cinese inizierebbe con un “è sotto il cielo della contea di Degin, lì dove sorge la regione di Tre Fiumi Paralleli, lo Yangtze, il Mekong e il Salwen che inizia la nostra storia…”

 

Ph: Foto: screenshot servizio askanews. Nella foto Maxende Dulou

 

Tra i vini estremi ce n’è un Cabernet Sauvignon cinese di padre francese!

La storia  dello Ao Yun nasce su questi terreni argillosi e calcarei, interamente terrazzati a mano dove sono state impiantate le 314 vigne di Moet Henney su una superficie di 28 ettari. Lo hanno chiamato da subito il Bordeaux di Francia e chi lo ha bevuto assicura che questo rosso cinese non ha nulla a che fare con tutti gli altri rossi cinesi, ma che anzi è un Cabernet Sauvignon che si fa ricordare.

D’altra parte un gigante dei vini francese non sarebbe arrivato a 2.600 metri d’altezza se non avesse capito che lì poteva nascondersi una nuova Eldorado del vino. Oggi una delle sue bottiglie (circa 24mila quelle prodotte) può arrivare a costare anche 300 dollari, e cioè circa 266 euro.

 

Vini estremi: il vino himalayano che porta competitività al mercato produttivo orientale

 

Una vera e propria sfida vinta quella di Moet Henney che ricorda oggi Askanews, voleva dimostrare che la qualità del vino  è possibile anche in Asia e in luoghi tanto estremi come l’Himalaya. E per un Paese che vuole diventare competitivo nella produzione non è cosa da poco. L’agenzia di stampa è andata ad intervistare Maxence Dulou, il direttore della tenuta aperta nel 2012 e cioè dopo quattro anni di ricerca del territorio ideale.

“Effettivamente – dice –  c’è una connotazione non molto positiva, per il Made in China, ma tutto ciò che possiamo fare è metterci la passione, lavoriamo con la massima precisione in modo da realizzare il miglior vino possibile. Penso che indirettamente, facciamo parte di un processo che tende a portare in alto il “made in China, Un terreno – aggiunge – ha bisogno di essere trattato in modo differente, e qui in effetti è molto complicato, è un terreno molto particolare”.

 

Il rosso cino-francese che ha risollevato le sorti di quattro villaggi tibetani

Ogni ettaro necessita in media di 3.500 euro di lavoro per anno, ovvero quattro volte di più dei grandi vigneti al mondo. La ragione? Tutto viene fatto a mano. Sicuramente, per gli agricoltori del territorio, un’occasione economica importante:

Dice Ci Liwudui, del villaggio. “Questo ha portato buone occasioni ai quattro villaggi, molti cambiamenti, non ci dobbiamo più preoccupare dei soldi, la gente non deve più partire per trovare un lavoro. Possiamo restare qui da noi”.

(Fonte: Askanews)