Sulle colonne del New York Times Eric Asimov in difesa di un vino "fresco e leggero" sacrificato per far fronte ai mercati incantati dall'eccellenza dell'Amarone. Ripasso sì, ma che non si disperda un patrimonio enologico nazionale. E stila la sua top 10!

Nonostante l’avanzata francese e la brusca frenata italiana, gli Usa restano uno dei mercati più forti per il nostro vino. E per affrontare i mercati si sa, bisogna andare incontro ai cambiamenti e ai gusti dei consumatori. Sicuri? Sì, ma questo non vuol dire puntare solo su ciò che il mercato chiede. Vuol dire anche abituare, in questo caso riabituare, il consumatore a quei prodotti d’eccellenza che proprio per le richieste del mercato vengono spesso sacrificati.

Ecco perché ci ha particolarmente colpiti l’articolo del New York Times in difesa del Valpolicella. Non del territorio (o avremmo detto “della”). Quello non ha bisogno di avvocati difensori. Se lo si guarda nell’insieme questo territorio veneto è uno di quelli dove i grandi vini sono di casa e a cui i mercati rispondono con grande apprezzamento. No. Quello di cui parla Eric Asimov è prorio il vino Valpolicella. Non il Ripasso, che ora, sottolinea, ha la sua denominazione, ma quella “Classica”. Quella, come la definisce lui, “semplice”.

Un’eccellenza italiana che esiste e persiste ma che, afferma nel suo articolo scritto in occasione di una degustazione di Valpolicella che ha permesso a lui e i suoi colleghi di stilare una top 10, si fa sempre più fatica a trovare sulle Carte dei vini, sugliscaffali e nei winebar di New York. Un articolo dettagliato che spiega il perché di un assenza a quanto pare piuttosto sentita. Un vuoto che, sostiene Asimov, andrebbe riempito riportando in auge un vino meno corposo dei più popolari vicini di casa, e che proprio per questa sua “leggerezza” meriterebbe di essere valorizzato così da raccontare un aspetto ulteriore di un territorio che la lingua del vino la parla benissimo da tempi ben più che remoti.

 

“Semplice” Valpolicella: negli anni ’80 impazzava in radio e tv, ora non fa numeri, ma fa grande qualità

 

 

E’ come se il vino “semplice” della Valpolicella fosse scomparso. Si fosse disperso in una nebbia da cui merita di essere tirato fuori. Questo, in sintesi, il pensiero di Asimov che, nel suo articolo, ricorda gli anni ’80 quando il marketing impazzava con spot pubblicitari che hanno visto addirittura impegnato un Orson Welles d’annata. Già a fine ani ’70 l’azienda Bolla era di certo una di quelle che il suo Valpolicella lo esportava, oltre che sugli scaffali, anche sui media (vedi spot sopra). Negli stessi anni, negli Usa, si assiste al boom dell’Amarone, un vino indiscutibile frutto delle stesse uve del Valpolicella (soprattutto Corvina, Rondinella e Corvinone), ma estremamente diverso da quello che di cui il New York Times prende le difese.

Ma proprio la forza dell’Amarone, si sostiene, ha in qualche modo accantonato la freschezza di un rosso tanto diverso. I produttori, per star dietro al boom di questo vino così forte e allo stesso tempo capace di una grande dolcezza, hanno dato vita al famoso Ripasso. La leggerezza del classico rosso, insomma, ha cercato (e ampiamente trovato) un nuovo stile che gli desse una forza maggiore rendendolo così più vicino all’idea che l’Amarone era in grado di suscitare nei palati degli amanti del vino. Si è così si ottenuto un altro gran vino, più saporito, intenso e corposo, spiega bene Asimov, ma si è finito per credere che questo fosse migliore di un “semplice” Valpolicella.

E il critico proprio non ci sta! Lo ammette apertamente: “ho sempre preferito la freschezza e la facile bevibilità della vecchia Valpolicella che, come il Beaujolais, è un vino che si può bere senza temere pesantezza, mal di testa o sbornia”. Questione di gusto questo è vero. Ma è pur vero, come aggiunge, che la produzione del Valpolicella è diminuita di 18 milioni di bottiglie. Sono lontani i tempi dei 41 milioni di bottiglie pronte a conquistare i mercati! Un dato, questo diffuso proprio dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella.

 

“Semplice” Valpolicella: il sacrificio in nome del Ripasso non è una giustificazione valida per disperdere l’identità

 

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Ph: grappoli di Corvinone, una delle uve alla base dei grandi rossi della Valpolicella

 

Non riuscendolo più a trovare Asimov ha quindi deciso di ritrovare quel gusto organizzando una sua personale degustazione. Ha chiamato a selezionare i vini Bernard Kirsch e si è immerso nel Valpolicella con la collega e critica Florence Fabricant e l’esperto Justin Timsit impegnato, negli anni, nella direzione di diverse importanti cantine. Il risultato? Saranno anche diminuite le bottiglie ma per Asimov la qualità è decisamente aumentata. Timsit ha così commentato: “è un vino che mi porta in quel posto, nella Valpolicella. Ho apprezzato la loro freschezza e l’energia”.

Venti le bottiglie selezionate. Dieci quelle particolarmente apprezzate. “Alcuni vini erano moderni. Si distinguevano – ha scritto nel suo articolo il critico. I migliori erano i rossi italiani quintessenziali. Quelli che bilanciano i sapori della frutta”. Simili quasi, aggiunge, ad una crostata di ciliegia. “Questi vini sembrano leggeri, quasi delicati, ma offrono un’intensità lineare, una progressione di sensazioni in evoluzione dal primo all’ultimo sorso”.

Il rammarico per la loro scarsa diffusione e il crollo di produzione però resta. Quale sarà i loro futuro? “Difficile da dire – spiega Asimov -. Se cerchi grandi vini italiani nelle Carte dei Vini quasi sempre trovi il Valpolicella Ripasso. Nei ristoranti le bottiglie che abbiamo assaggiato noi non ci sono praticamente mai ed è ancor più difficile trovarle negli scaffali per l’acquisto”. E’ vero, ammette, che come afferma il Consorzio il Ripasso, con l’Amarone, è la forza trainante delle vendite. Ma le associazioni sembra vogliano far qualcosa per ridare forza ad un vino che la sua intensità la trova nella sua leggerezza. Ci si augura che, con le giuste misure, le uve che sono per tutte e tre le tipologie di vino le stesse, vengano lasciate in misura maggiore al Valpolicella Superiore così che anche questo possa tornare ad essere competitivo.

 

“Semplice” Valpolicella: la Top 10 di Asimov&Co. parla la lingua della vocazione veneta

 

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Scopriamo allora qual è la top 10 stilata da Asimov e i suoi colleghi. Partiamo, ovviamente, dal podio. Il primo posto in questa particolare degustazione se l’è guadagnato il Valpolicella Rio Albo 2016 Ca’ Rugate. Un “vino dolce e salato, profondo, lungo e complesso” nonché accessibile (16 dollari il suo prezzo). Un vino che nasce sui 72 ettari dell’azienda che il nome lo prende dall’omonima collina di origine vulcanica nella zona del Soave Classico dove da quattro generazioni la famiglia Tessari si dedica proprio alla produzione dei classici del territorio: Soave, Valpolicella e bollicine di Lessini Durello.

L’argento è stato invece conferito al Il Buono 2016 de Le Albare, un Valpolicella Classico che ha stupito per la sua “piccantezza”. Un vino, insomma “fruttato, rotondo e speziato” che racconta un territorio e la storia di una famiglia di viticoltori di cui oggi è rappresentante Stefano Posenato.

Il terzo posto se l’è guadagnato la naturalità e in qualche modo il pionerismo di Corte Sant’Alda che la scelta bio l’ha fatta nel “lontano” 1985 e che Asimov e colleghi hanno premiato per il suo Ca’ Friuli dal benvenuto amaro e il proseguo fatto di freschezza.

Chiudiamo la top 5 con quarta e quinta posizione. La prima è del “dolce amaro” Valpolicella Classico Secondo Marco 2015. Marco Speri per essere prescisi. Erede di una lunga tradizione che ha saputo innovare mantenendo salde le radici che affondano nelle vigne di Fiumane. Al quinto posto, un Valpolicella Classico Superiore. Quello 2014 firmato Marchesi Fumanelli. Un vino “sottile ma vivace, con sapori affumicati e speziati di ciliegie e liquirizia” che matura nella TEnuta di Squatrano dove la produzione dei vini pregiati di famiglia è iniziata nel 1470 sui resti di antichi impianti di epoca romana.

 

La classifica di Asimov: dalla posizione numero 6 alla numero 10

 

Sesta posizione, in questa particolare classifica “in difesa” del Valpolicella, è per il Valpolicella Classico Saseti 2013 Monte dell’Ora. Un vino “morbido e succoso, con sentori di frutti rossi”. Agile ed equilibrato, simbolo di semplicità, il settimo: l‘Acinum Valpolicella 2015. “Elegante e vivace, con sapori di crostata e frutti rossi saporiti” quello che si è invece piazzato nono nella Top 10 del New York Times. Parliamo del Valpolicella Classico Lucchine 2015 Tedeschi seguito dalla “piccantezza” del Valpolicella 105 Zeni. Ultimo, si fa per dire, il Valpolicella 2015 Brigalda. Un vino “carnoso e rustico” dotato di particolare…brillantezza!

Sarebbe interessante fare un giro nella Grande Mela e scoprire, tra qualche mese, che l’attenzione data al “semplice” Valpolicella da uno dei giornali più importanti al mondo, ne abbia riportati alcuni al vertice delle Carte dei Vini!”

 

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