A ritrovarla, nascosta in un cassetto di un dipendente andato in pensione, i titolari dell'azienda vinicola Berry Bors & Rudd di Londra. Dai calici ai flute, le storie legate ai naufragi che hanno segnato la storia sono tante. Quanta Italia sulle tavole dei passeggeri di quel sogno distrutto da un iceberg!

Sul fondo dell’oceano sono rimasti 1.503 corpi, ma, a quanto pare, per la Star White Line, la compagnia che varò e vide affondare il suo gioiello, il Titanic, la cosa più importante erano le 69 casse di vino perdute nel tragico incidente. A testimoniarlo una lettera inviata alla Berry Bros & Rudd per scusarsi della impagabile perdita.

La lettera è saltata fuori nel modo più banale possibile e una foto su Instagram ha fatto il resto. Ma gli alcolici a bordo del Titanic hanno anche una storia impossibile da verificare, quella di una bottiglia di Champagne che uno dei pochi sopravvissuti si sarebbe portato via prima di mettere piede sulla scialuppa che gli avrebbe regalato la sua seconda vita.

E lo sapevate che c’era tanta Italia anche tra i tavoli del transatlantico? Sono tanti i misteri legati ai grandi naufragi e per il vino c’è anche un’altra grande storia legata ai Romanov: gli zar di Russia.

 

24 ore dopo la tragedia la lettera di scuse della Star White Line per le 69 casse di vino perse nel disastro e il mistero del suo ritrovamento

 

Ph: la lettera originale inviata il 16 aprile 1912 dalla Star White Line alla Berry Bors & Rudd pubblicata dall’azienda su Fb

Se fosse un romanzo potrebbe essere l’inizio di uno di quelli scritti dalla mano magistrale di Agatha Christie. L’incipit lo ha regalato la Berry Bros & Rudd. Riordinando il cassetto di un dipendente ormai in pensione è saltata fuori la lettera con cui la Star White Line si scusa con l’azienda vitivinicola per le 69 casse di vino finite sul fondo dell’oceano insieme a quello che sarebbe diventato un mito: il Titanic.

Il romanzo potrebbe iniziare da qui. E il proseguo sarebbe nel capire perché per tutti quegli anni quel dipendente ha tenuto la lettera nascosta in quel cassetto. Possibile non l’abbia mai notata? Questo sì che sarebbe un bel giallo da sbrogliare, ma fuori dai canoni letterari esiste la realtà concreta di quelle scuse in cui non si citano affatto le oltre 1.500 vittime della tragedia. Questione di priorità!

Un bel colpo anche per la compagnia vitivinicola che ha deciso di pubblicare la lettera sui social, su Instagram per la precisione, e di appenderne una copia all’ingresso della sua azienda. D’altra parte è un pezzo di storia. La lettera è stata scritta il giorno dopo lo scontro del Titanic con l’iceberg che ha affondato con lei anche i sogni di gloria della White Star Line: il 16 aprile 1912. Il testo recita più o meno così: “Gentili signori, riferendoci alla vostra spedizione da questo piroscafo, è con grande dispiacere che dobbiamo informarvi che il Titanic è affondato alle 2.20 del 15esimo giorno, dopo essersi scontrato con un iceberg, ed è una perdita totale. I dettagli della spedizione sono mostrati in fondo alla lettera. Distinti saluti, la White Star Line”.

Nelle 69 casse c’erano vini fermi, fortificati e champagne. La lettera originale è conservata ora in una cassaforte dell’azienda e raramente vede la luce. In realtà della sua esistenza si sapeva, ma nessuno era a conoscenza del dove fosse custodita. E a volte le cose sono più semplici di quanto sembra. Resta la domanda sul perché il dipendente dell’azienda abbia deciso di tenerla lì e, al momento del pensionamento, di far sì che qualcuno alla fine la trovasse. Certo è che oggi la lettera non è più una leggenda e una sua copia campeggia, oltre che su Instagram, al numero 3 del Saint James Street di Londra.

 

Mito o realtà? Quella bottiglia di Champagne “salvata” sul Titanic di cui si cerca l’autenticità e le bollicine dello zar che hanno fatto la storia

 

Disastro che vai mistero che trovi. Da una parte la lettera “nascosta”, dall’altra quella bottiglia di Jeanne d’Arc Vin Mousseux Cuvée Reserve che Betty Thomas sostiene arrivi proprio dal Titanic. A New York la nave non ci è mari arrivata, ma a casa del nipote del signor Thomas la pregiata bottiglia sì. O almeno così sostiene.

Il disastro, si sa, è avvenuto quando tutti erano nella grande sala da pranzo in stile Luigi XVI della nave. In realtà era ora di cena. Poco cambia. Di certo vino e champagne erano in tavola. E a quanto pare il signor Thomas prima di salire sulla scialuppa si sarebbe portato via una delle bollicine scampate del disastro. E nonostante il freddo non l’ha neanche bevuta. Chissà se in qualche modo voleva conservare qualcosa di quella tragedia per ricordarsi della sua grande fortuna nell’essersi salvato la vita.

Sull’autenticità nessuno si sbilancia. Per qualcuno quella del nipote potrebbe essere una trovata pubblicitaria, ma dai test, fino ad ora, nessuna certezza. Per gli scettici a testimoniare l’inattendibilità dell’affermazione sarebbero due elementi in particolare: l’etichetta che sembra essere di un decennio successivo, e il fatto che l’unico champagne che si sa essere a bordo, era l’Heidsieck’s Goût Américain Champagne 1907.

D’altra parte a bordo di casse di alcolici ce n’erano moltissime e ben 20mila erano le bottiglie di birra. A noi piace pensare che il signor Thomas abbia portato in salvo la pregiata bottiglia.

 

Lo stesso Champagne affondato col Titanic ha affondato le speranze degli zar, ma fatto la fortuna di chi le ha recuperate

Chissà che al nipote del signor Thomas non vada bene tanto quanto all’uomo che ha venduto, all’asta, proprio una bottiglia di Heidesieck “sopravvissuta” al naufragio della nave mercantile Joenkoping affondata il 3 novembre 1916 alle 5.40. Trasportava dalla Finlandia alla Russia vino, cognac e champagne destinati allo zar. A quanto è stata venduta? Circa 25mila euro.

A recuperarla, negli anni ’90, è stato Cales Berwall, comandante della spedizione svedese C-Star. In realtà il comandante ha recuperato tutto il carico della nave affondata da un U 22 tedesco. Non solo champagne, ma anche cognac (35 mila litri in 70 mila bottiglie, e circa 6 mila litri di vino d’annata. L’affondamento è avvenuto con la Prima Guerra Mondiale alle porte. Non c’è che dire: gli zar ai loro ufficiali tenevano moltissimo!

 

Non solo vino, sul Titanic l’italia era nei piatti. Sua maestà il Parmigiano e quello chef pavese che oggi sarebbe un divo della televisione!

 

Ph: riproduzione di una foto originale delle cucine del Titanic

Non mancava il vino italiano a bordo del Titanic e chissà che qualche bottiglia non fosse anche in bella vista sulla Carta dei Vini. Il merito è stato proprio di un italiano che, in realtà, l’Italia l’ha portata nel menù. La storia ricostruita cento anni dopo la tragedia (nel 2012) La Stampa in un lungo articolo a firma di Gabriele Arliotti. Il giornalista, con il contributo dello storico del Titanic Claudio Bossi, ha riportato alla luce i menù di prima, seconda e terza classe. E che si sappia: lo chef, in prima classe, era italianissimo e si chiamava Gaspare Antonio Pietro Gatti, per tutti Luigi.

Oggi sarebbe certamente stato uno dei giudici di Masterchef! Aveva 16 anni il giovane Luigi quando partì da Montalto Pavese in cerca di fortuna a Londra. Non ci mise molto a metter su una catena di grandi ristoranti. Il coronamento del suo lavoro? Salire sul Titanic con i migliori camerieri conosciuti nel Regno Unito. Ben 33 lavoravano con lui in prima classe. Era stato sempre lui a selezionare tutto il personale di sale e cucine a bordo. Tutti tra i 17 e i 43 anni. Di italiani se ne portò 37, ma solo due si salvarono dalla tragedia.

Quel che è certo è che nella sua dispensa c’erano 30 forme di Parmesan Cheese, l’italianissimo parmigiano. E con lui gorgonzola, olio, vino ed altri prodotti. Una spiegazione c’è. “Il Parmigiano Reggiano di quei tempi – si legge nell’articolo –  da un lato seguiva le rotte dell’uomo, le immigrazioni e, grazie alle sue qualità (organolettiche, di stagionatura e quindi trasportabilità, di versatilità e nutrizionali), divenne insostituibile ingrediente o pietanza in cucina. Ecco spiegato il notevole quantitativo a bordo della nave”.

Non solo. Il Parmesan, cioè il Parmigiano, era uno dei pochissimi prodotti indicato nel “Cargo Manifest”, ora conservato negli archivi nazionali di Londra, con il suo vero nome e ad essere assicurato con l’American Express.

 

I menù di prima, seconda e terza classe: dal Gorgonzola al porridge, non è una questione di democrazia

Come in ogni tragica storia di emigrazione che si rispetti, sono stati i passeggeri di terza classe (come cantava De Gregori) a far registrare il maggior numero di morti. Non poteva che esserci una grande differenza anche a tavola. Ma va dato atto che per la prima volta nella storia della navigazione, fu proprio sul Titanic che anche i più disperati avevano un posto a tavola e forse anche a loro, al di là del porridge e i biscotti, qualcosa di qualitativamente più accattivante a tavola potrebbe essere arrivato.

L’ultima cena della prima classe parlava decisamente italiano con tre delle portate a base di prodotti nostrani. Il Parmigiano era infatti l’ingrediente principale della Consommè Olga e del Sautè di pollo Iyonnase e della zuppa Parmentier. Roba da prima classe ovvio, tanto che il menù di questa, all’asta, è stato battuto a ben 122mila dollari. Cosa c’era sopra? Beh per esempio il Gorgonzola conservato a bordo grazie “a macchinari per produrre ghiaccio che consentivano di preservare gli alimenti freschi”.

Un po’ di democrazia a tavola era riservata ai passeggeri di seconda classe. Le cucine dove si preparavano i loro pasti era la stessa dei signori di prima. E anche in questo caso si prevedevano formaggi a fine cena (Parmigiano e Gorgonzola inclusi) e, come primo, “Spaghetti au gratin” con il probabile utilizzo del Reggiano sia nel condimento che nella besciamella. Pochi giorni prima di morire hanno anche avuto il “privilegio” di assaporare dei Vienna & Graham rolls, croissant alla viennese farciti proprio con il Parmigiano.

In terza classe tanto lusso non c’era. I biscotti era il massimo della dolcezza cui aspirare. E poi mettere il Parmigiano nel porridge poteva essere un azzardo eccessivo: costava troppo! Ma gli esperti non escludono che un po’ ne abbiano assaporato anche loro. Difficile pensare che in un viaggio come questo anche a loro non siano toccati spaghetti all’italiana. Non è più bello pensare che lo chef Luigi, da emigrato, abbia avuto un occhio di riguardo per chi come lui andava, ahinoi, in cerca di fortuna?