Uno studio riscrive tutto ciò che sapevamo fino ad ora su come si sia evoluta la produzione tecnologica del vino. Nessuno ha insegnato niente (o quasi). Tutti hanno messo a frutto il loro ingegno.

La storia del vino è una storia antica e questo lo sappiamo; ma se dovessimo riscriverla perfino sul come si sia arrivati a produrlo, come la metteremmo? Secondo una ricerca sembra proprio che per oltre 80 anni l’unica fonte certa che abbiamo riguardo questo prodigio tecnologico, sia stata tradotta male. Insomma: Plinio il Vecchio è stato frainteso!

 

Storia del vino: quel che sapevamo fino a ieri…

 

 

La ricerca archeologica fatta sulla “Naturalis Historia” di Plinio Il Vecchio, condotta insieme alla raccolta di prove archeologiche, rimette tutto in discussione. A quanto pare la sua descrizione delle macchine, le antiche presse, utilizzate per pressare l’uva e fare vino nell’Impero, non corrispondono a quelle che l’evoluzione temporale ne ha fatto le meraviglie tecnologiche di oggi. Al contrario, sono il racconto delle diverse realtà sviluppatesi nelle nuomerose comunità del Mediterraneo.

Al centro dell’analisi la descrizione delle immense macchine, lunghe fino a 12 metri e altre 3-4 metri, che venivano utilizzate nell’antica Roma per pressare il vino. Macchine troppo pesanti perchè potessero essere trasportate come oggi si fa con i macchiari industriali. Fin dagli anni ’30 gli storici hanno immaginato dunque un’evoluzione uniforme e lineare del loro sviluppo tecnologico, con due innovazioni arrivate nel tempo: l’introduzione in Grecia di una vite in legno intagliata, che sostituiva le corde usate dagli artigiani (o più probabilmente schiavi) per azionare la pesante leva necessaria a comprimere l’uva (e le olive) e, in seguito, l’introduzione in uso di una pressa più piccola, priva di leve, in cui era la stessa vite, azionata tramite bracci, che riusciva a spremere i frutti con una efficacia maggiore.

 

Storia del vino: quel che sappiamo oggi ‘smentisce’ quel che sapevamo…

 

 

Questo era quel che sapevamo fino a ieri. A quanto pare però Plinio lo abbiamo frainteso. La sua traduzione sarebbe errata. Nel descrivere le presse con cui si produceva il vino, Plinio non si muove in ordine cronologico, ma dice soltanto quando ciascuna è entrata in uso. Non dice che le presse a vite erano “greche” (Graeca), ma “di stile greco” (Graecanica), ovvero dispositivi i cui criteri di funzionamento erano ispirati dalla precedente invenzione della vite continua di Archimede, usata per sollevare l’acqua.
Plinio non dice neanche che le leve di grandi dimensioni siano state sostituite, ma che le presse più piccole erano più adatte per le fattorie edificate con locali più piccoli, quindi potenzialmente più diffuse. Le prove archeologiche dimostrano dunque che le presse a vite non sono state introdotte nella Grecia antica. Anzi qui sono arrivate  400 anni dopo la morte dello storico latino.

 

Storia del vino: Plinio è stato frainteso! Le tecnologie del vino non si sono sviluppate in modo lineare

 

 

Errori di traduzione e elementi archeologici supportano la tesi raccontata nel lungo articolo apparso sulla rivista Futurity. In effetti pensare che qualcuno abbia imparato e mutuato soluzioni di qualcun altro, è difficile. Al di là delle possibili ricadute divulgative che l’imperialismo romano può aver avuto nei territorio conquistati, è altrettanto vero che, all’epoca, la stampa non esisteva e i libri erano particolarmente costosi. Difficile quindi immaginare che nelle zone rurali arrivassero libretti di istruzioni o documentazione di sorta che potesse trasferire la conoscenza, o come oggi potremmo supporre, tali da far sì che l’evoluzione dello sviluppo tecnologico della produzione del vino e dell’olio, seguisse un percorso lineare.

L’ingegno doveva svilupparsi in ogni luogo in modo diverso per rispondere alle esigenze della popolazione. E’ vero che gli ingegneri romani viaggiavano con l’esercito, ma quando si parla di produzione alimentare le cose, tecnologicamente parlando, erano diverse. Non erano né l’esercito né gli artigiani specializzati a costruire le presse. Erano i contadini che si attrezzavano con pietra locale, legno e  i materiali a disposizione.


Storia del vino: per produrlo c’è voluto l’ingegno delle singole comunità

 

 

Plinio, dunque, non racconta l’evoluzione tecnologica delle presse da vino, ma raccoglie informazioni sulle varie tecniche di produzione. A dimostrare che la traduzione sia sbagliata contribuiscono, secondo gli studiosi, le ricerche archeologiche condotte nei singoli territori. Ricerche che dimostrerebbero come l’innovazione si sviluppasse in modalità differenti tra la popolazioni locali.

Esempi, si legge nel lungo articolo, ce ne sono molti. Come in Israele, ad esempio. Qui sono state trovate presse costruite in pietra con feritoie utilizzate per regolare l’altezza della vite. Anche in questo caso l’evoluzione si è diretta verso l’uso della più pratica ed efficiente vite. Oppure nel sud della Francia dove pesanti blocchi di pietra di un torchio, sono stati trovati consumati dalle corde utilizzate in origine con delle obsolete leve e poi riadattati per l’uso con una vite.

Insomma tutti amavano produrre vino e tutti si sono ingegnati per far sì che le presse fossero sempre più efficaci. Ognuno, però, lo ha fatto autonomamente. L’archeologia ci dice che erano frutto di abilità tradizionali incorporate nelle comunità locali, tramandate attraverso le generazioni e rinnovate attraverso l’innovazione, ma non scartate volutamente per adottare l’ultima novità.
Insomma, è possibile affermare che la tradizione che caratterizza il settore vitivinicolo, c’è sempre stata, ma con tradizioni tra loro diverse, territorio per territorio.