Doppio appuntamento con gli allevatori e gli agricoltori 'eroici' che tutelano, riscoprono e rilanciano la biodiversità del Made in Italy. Il 2-3 settembre in Emilia Romagna e il 16-17 settembre in Toscana, si riscoprono i sapori dimenticati, anche del vino

Quello italiano è un patrimonio di biodiversità unico. Che lo sia nel vino è cosa nota. Ma la verità è che la biodiversità italiana tocca ogni settore dell’agroalimentare. Un patrimoinio insestimabile difficile da tutelare, ma che nelle vigne così come nelle fattorie e nelle aree selvatiche del Bel Paese, agricoltori e allevatori eroici cercano di non disperdere un tesoro tanto importante. Eroci sì. Molti, infatti, portano avanti una vera e propria battaglia per la sopravvivenza, delle specie e anche loro. Sì perché intraprendere questo percorso non fa sempre rima con grandi ricavi, ma la fa di certo con unicità.

Per questi medi e piccoli imprenditori quel che conta è recuperare e proteggere con passione le antiche razze animali e le varietà vegetali autoctone da decenni abbandonate e quasi estinte. Un vero e proprio progetto di recupero e valorizzazione che guarda alle generazioni future e che il frutto del suo eroismo lo porta in piazza, letteralmente, in un doppio appuntamento imperdibile: quello del Rural Festival che sabato 2 e domenica 3 settembre porterà la biodiversità italiana a Rivalta Lesignano De’ Bagni, in provincia di Parma, e sabato 16 e domenica 17 settembre bisserà in Toscana, a Gaiole in Chianti. Un asse Tosco-Emiliano che unisce storia, cultura, eccellenza e diversità.

 

Rural Festival: riscoprire i sapori dimenticati per riappropriarsi della propria identità

 

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Due giorni per scoprire le grandi eccellenze italiane. Sarebbe meglio riscoprire. Sapori dimenticati frutto di una biodiversità unica il cui obiettivo è quello di riappropriarsi di quanto gli è stato tolto. Sono sempre di più gli imprenditori che hanno intrapreso questo arduo percorso e i numeri del Rural Festival gli danno ragione. Alla sua quarta edizione questa grande festa dell’italianità più vera, infatti, continua a richiamare ogni tipo di appassionato, winelovers inclusi, tanto da aver richiesto, anche quest’anno, un appuntamento bis.

L’occasione perfetta per abbinare al prosciutto di maiale nero, gli arrosticini di pecora Cornigliese, il pane grano del Miracolo e la Marrocca di Casola, o ancora la polpa di pomodoro Riccio di Parma, i fagioli Zolino al coccio, la torta di prugna Zucchella, solo per citare alcuni dei prodotti che si potranno assaporare, con i vini futto di Fortana del Taro, uva Termarina, la varietà Maestri, il Mammolo, il vin Santo da Malvasia del Chianti o il Sangiovese in purezza.

Un modello di economia sana e sostenibile che fa leva sul recupero delle antiche coltivazioni strettamente connesse al territorio.

 

Rural Festival: i vini e i vitigni ‘scomparsi’ tornati a vinificare nelle aziende di piccoli grandi eroi

 

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Il Lambrusco ‘Maestri’

Non potevamo non fare un piccolo accenno alle eccellenze enologiche che troverete al Rural Festival. Di Lambrusco avete sentito parlare tutti ma del Lambrusco Maestri? Il nome lo prende da Luigi Maestri, colui che selezionò questo vitigno a inizio Novecento nei pressi di Parma. A portare avanti la tradizione di un vitigno così particolare sono Isidoro e Giovanni Lamoretti dell’omonima azienda di Torrechiara. Un vino, quello prodotto dall’azienda, frutto dei dettami della “Lotta Integrata” per la salvaguardia dell’ambiente e per la salubrità delle uve. Il risultato è un vino che sa “di casa”. Quel Lambrusco, insomma, che ci rimanda all’Amarcord felliniano di Ciccio Ingrassia e che si è nobilizzato nella produzione tradizionale, lasciando intatta la sua naturale vocazione. Quella che, nell’antichità, finiva nei calici degli antichi romani con quella vivacità e quella freschezza che ancora oggi definiscono il carattere dell’Emilia Romagna.

 

La Malvasia del Chianti

Era, e per fortuna è ancora, uno di queli “vini alla greca” la cui dolcezza abbiamo rischiato di perdere dopo essere sopravvissuta per secoli. Parliamo della Malvasia del Chianti da cui si ricava un vino dolce unico che grazie a David Migliorini, che la sua fattoria la gestisce a Panzano in Chianti, è immutata in tutto il processo produttivo. Un’azienda, la sua, nata nel 1720 in principio di proprietà della famiglia Gherardini a cui apparteneva Lisa, la celebre Monna LIsa di Leonardo. L’azienda Migliorati ha raccolto la storia di questi luoghi e di queste vigne continuando a vinificare la Malvasia del Chianti secondo le regole tradizionali. Intatte, nella sua cantina, le strutture tradizionali un tempo luogo proprio della vinificazione: i vasi vinari rigorosamente realizzati in legno.

 

L’asse tosco-emiliano dell’autoctonicità

Infine il Fontana del Taro, l’antico vitigno autoctono della Bassa Parmense già presente nel 1400 che il nome sembra lo debba dalla zona di provenienza, la Cote d’Or, e che oggi continua ad essere prodotto nelle Cantine Bergamaschi di Samboseto; e il Sangiovese in purezza di Andrea Rossi che nella sua azienda agricola Casanova di Brisccian continua l’opera inziata da suo nonno vinificando il vitigno per eccellenza di questi luoghi in un modo decisamente unico.

 

 

Crediti fotografici: foto Album edizioni passate Rural Festival pubblicati sul sito dell’evento. Per sfogliarli clicca qui.