Dalle provocazioni alla concretezza in vista dell'anno dedicato al turismo. Al Forum Fis di Bibenda frecciatine e voglia di fare di più per fare del vino un punto di riferimento nazionale. Cosa ci manca? L'orgoglio nazionale!

Il binomio arte cultura e quindi arte e vino funziona. Lo dicono i numeri, lo dicono gli investimenti e lo dicono le strategie dei produttori e di tutti coloro che ruotano intorno alla filiera vitivinicola. Approssimativamente tra il 390 e il 360 a.C. Platone immaginò una città ideale. Una città in cui i sapienti erano i governanti. In cui l’educazione dei fanciulli era un elemento imprescindibile.

E la immagina così: un luogo dove i governanti, i sapienti e per lui dunque i filosofi, sono custodi di virtù e sapienza. In cui i difensori sono gli uomini di coraggio capaci di difendere sempre le azioni di uno Stato pensato già come uno Stato giusto e i produttori, sì proprio i produttori, devono essere dotati di temperanza. Devono cioè rispettare chi li governa e, in quanto cittadini, contribuire allo sviluppo di quello che oggi chiameremmo un sistema, in grado di garantire il benessere di tutti.

 

Se il vino avesse una sua città ideale

Una città ideale e utopica, così la storia l’ha definita, perché si sa, l’uomo ha dalla sua la volubilità. Ma Platone, nella sua città ideale immagina anche le possibili degenerazioni delle forme di governo, ecco perché ne immagina uno capace di determinare ruoli e metterli a sistema. Utopia? Sicuramente. Ma anche un bene a cui tendere. Solo così, probabilmente, la giustizia può essere garantita.

Perché siamo andati a scomodare un pensiero così antico? Perché forse è utopico immaginare l’Italia come un Museo diffuso della Cultura a 360 gradi e difficile anche pensare che potremmo avere un Ministro del Vino incarnato da personaggi del calibro di Piero Antinori o Angelo Gaja. Ma che un sistema funzionante e funzionale per far sì che il vino si prenda il giusto spazio in un Paese che ha la storia culturale più importante e che di questa vuole fare un motore trainante (non esserci fin qui riusciti è già un demerito), possa esistere non è affatto utopico.

Le intenzioni ci sarebbero a leggere le intenzioni espresse nel corso del Forum della Cultura del VIno e dell’Olio organizzato dalla Fondazione Italiana Sommelier e Bibenda e ampiamente raccontato da WineNews, ma il rischio è sempre lo stesso: che il dibattito si trasformi in un inutile sofisma!

 

Italia Museo diffuso: Franceschini l’Italia se la immagina così, tra arte moda, artigianato e enogastronomia

 

Ministro del vino scultura bacco

Ph: Dioniso ed Eros. Scultura custodita presso Museo Archeologico Nazionale di Napoli

 

L’idea l’ha lanciata il Ministro dei Beni Culturali e del Turismo Dario Franceschini: “mettere a sistema tutte le inizitive straordinarie che ci sono sui cibi locali e farle diventare argomento di promozione del mondo, soprattutto quelli meno conosciuti. Il nostro obiettivo è far scoprire l’infinità quantità di prodotti italiani”. Il suo obiettivo, ha dichiarato, è far sì che l’Italia si trasformi in un Museo diffuso capace di mettere inseme arte, moda, artigianato e, ovviamente enogastronomia. Ecco perché immagina di preparare dei bandi per la ristorazione all’interno dei musei italiani tali per cui chi li prenderà in gestione debba garantire di veicolarli attraverso l’enogastronomia del proprio territorio. Un modo, insomma, di esaltare l’identità locale.

D’altra parte per quanto un percorso apparentemente complesso, si tratterebbe davvero di mettere solo tutto a sistema. Eh sì, perché come il Ministro ha sottolineato, questo settore, quello dell’enogastronomia, è l’unico di cui in Italia si sta cercando di gestire la crescita e non la decrescita. Una sistematicità che si prefigge entro il 2018: l’anno del turismo. Questo l’obiettivo.

Facile no? Tutt’altro, perché alla fine i problemi sono sempre tanti e le provocanzioni anche.

 

Italia Museo diffuso: si nomini un Ministro del Vino! Farinetti provocatorio o propositivo?

 

ministro del vino-quadro-bacco

 

Nel corso del Forum il primo a lanciare la provocazione è stato Oscar Farinetti, il papà di Eataly che ha chiesto a gran voce l’istituzione di un posto a Palazzo Chigi per il Ministro del Vino citando proprio, come papabili ministri, Angelo Gaja e Piero Antinori. In una città ideale, come quella immaginata da Platone, due saggi che al settore non potrebbero far altro che bene. Una provocazione per attaccare proprio il malfunzionamento di uno degli strumenti principe del Testo Unico del Vino voluto dal Mipaaf: la dematerializzazione dei registri. Lo strumento della sburocratizzazione. Peccato che, ora che il loro uso è obbligatorio, si sia creato il caos. Nessuno riesce a capire come funzionano e, cosa anche peggiore leggendo quanto scritto da Slow Wine, chi dovrebbe supportare nel cambiamento i produttori non ne saprebbe nulla e chiederebbe ancora le quintalate di carta che dovevano invece sparire per sempre.

Un Ministro del Vino, ha detto Farinetti lasciandi intendere che ci vorrebbe competenza specifica di chi è del settore, che sappia ben interpretare i malesseri di quei produttori cui Platone chiedeva temperanza. E, soprattutto, che sappiano rispondere alle loro esigenze evitando che la temperanza vada definitivamente a farsi benedire. Un tema, quello della burocrazia, emerso già pochi giorni fa al Forum Cia e che, prepotentemente, continua a tenere banco tra gli esponenti del settore.

A lui, in una sorta di partita a freccette in cui il bersaglio è l’interlocutore, ha replicato il Sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. Contento del fatto che si inizi a parlare (con grande ritardo) di quanto si possa fare per il settore vino ha però voluto ricordare che l’Italia è un “Paese strano. Un Paese dove oggi c’è chi propone un Ministro del Vino, ma dove pochi anni fa si pensava di abolire quello dell’Agricoltura”.

 

Italia Museo diffuso: impariamo un po’ di orgoglio nazionale dai francesi. I numeri li abbiamo

 

Ph: veduta su un vigneto in Toscana

Ph: veduta su un vigneto in Toscana

 

Al di là delle polemiche e delle frecciatine tutti sembrano essere d’accordo sul fatto che si continua a sottovalutare un settore che fa numeri, crea occupazione e si caratterizza per essere la mosca bianca dell’economia italiana in perenne crisi. Il problema, nel Paese della cultura, è dunque paradossalmente proprio culturale. Cosa ci manca e ci è sempre mancato? Un po’ di sano patriottismo. O, se preferite, di amor proprio e per il proprio territorio al di là delle chiacchiere che spesso sono anche troppo.
“Siamo il Paese che produce più vino – ha tuonato Franco Maria Ricci fondatore e alla guida di Bibenda –, ma, in realtà, uno di quelli che lo conosce meno perché molti dei 60 milioni di italiani che lo bevon one sanno troppo poco”.

Eppure il vino ha un peso importante in Italia. “Intorno al vino – ha ricordato l’ex Ministro della Giustizia Paola Severino ora Magnifico Rettore della Luiss, università che ha ospitato il Forum – si studiano aspetti giuridici importanti. L’Italia ha la normativa più avanzata di tutti in tema di produzione, controllo e di agricoltura in generale, ma anche riguardo l’economia, perché intorno al vino e all’enogastronomia si sviluppa un business di 38,6 miliardi solo con l’export”.

 

Il confronto con la Francia e la questione enoturismo

E quindi? E quindi duole dirlo, ma dobbiamo imparare dai francesi. In materia di enoturismo ad esempio. Noi stiamo ancora discutendo una legge. Da loro il governo ha stanziato milioni creato un sito web incredibilmente funzionante e portato i numeri al di sopra delle aspettative. Noi i numeri li facciamo, ma il paragone è ingeneroso. Sarà pur vero che come ha detto Farinetti i francesi hanno tre secoli di vantaggio, ma questo è un mondo che corre veloce e non essere mai, o quasi, sulla rubrica di Jancis Robinson, una delle voci più autorevoli del settore che di vino scrive sul Financial Times, la dice lunga come ha sottlineato il giornalista ora anche produttore Bruno Vespa.

 

Italia Museo diffuso: si ricominci dalle basi. Dal diffondere la cultura del vino partendo dalle scuole!

 

ministro del vino banchi-di-scuola

 

Era in grande spolvero il patron di Eataly perché dopo aver lanciato l’idea del Ministro del Vino ha anche lanciato quella di una legge nazionale sulla sostenibilità. Nessuno, ha detto, dovrebbe più utilizzare la chimica. La tendenza è quella. E su questo non vi sono dubbi. Ma i tempi per le riconversioi sarebbero comunque lunghi. Per Farinetti 5 anni sono il tempo limite: chi non si adegua smette di fare vino.

Ci sembra un po’ azzardato, ma certo è che la mancanza di orgoglio nazionale, ha sottolineato il noto Tinto voce di “Decanter” su Radio2 è un handicap non da poco. Arrivare ad una soluzione perfetta, ad uno Stato ideale in cui un Ministro culturalmente preparato si occupi soltanto di questo settore e tutti siano disposti ad abbandonare la chimica, ci sembra utopico tanto quanto la città platonica. Forse anche un tantino di più. Ma certo è che sulla questione educativa, platonicamente parlando, si può far molto per cambiare le cose.

 

La formazione: la cultura va insegnata

Negli alberghieri lo studio del vino, inteso in senso ampio e dunque dal terroir, alle tecniche di lavorazione, ai vigneti fino alla figura del sommelier, approderà. Ma diffonderne la cultura anche attraverso la formazione che porti le nuove generazioni di vignaioli a guardare oltre i confini dei propri filari non è impossibile. Da qualche parte avviene. In alcune regioni i sistemi, tra inevitabili alti e bassi, critiche e dichiarazioni d’amore, funzionano.

Più che di un Ministro del Vino ci sarebbe bisogno della volontà di far sì che davvero l’enogastronomia vada oltre il concetto di “sagra di paese” (cosa buona e giusta per valorizzare i singoli territori in occasioni di cultura e divertimento) per diventare un unicum realmente rappresentativo dell’eccellenza del vino Made in Italy. Tutto il resto, in fondo, resta solo un sofisma privo di risoluzioni! Staremo a vedere.