Abbiamo scovato diverse storie legate alla nascita di diversi vini e vitigni. Dagli eroi greci, alle tragiche storie d'amore, dentro ogni coppa c'è un mito da raccontare

Le leggende del vino non sono tante, ma quando ci sono, sono decisamente suggestive. Oggi abbiamo deciso di fare un viaggio in lungo e in largo per il Paese raccontandovi dieci storie che accompagnano la nascita di molti vini e vitigni del nostro territorio. Eccellenze, spesso peculiari, che sono il simbolo dei territorio e che, anche attraverso la magia delle narrazioni che affondano le loro radici nel mondo dell’immaginario, portano il nome del Made in Italy nel mondo.

E ci sentiamo di suggerire che queste storie sarebbe bello vederle raccontare anche in un’ottica di marketing. Nell’epoca dello Storytelling, che molto ricorda il ruolo degli antiche cantastorie, gli spunti sono davvero infiniti. Sarebbe interessante farne una Carta dei Vini del tutto particolare.

 

Il Teroldego trentino. Sapete perché si chiama ‘sangue di drago’?

Partiamo dal Trentino Alto Adige terra di grandi vini. La storia che vi raccontiamo è quella di uno dei più noti vitigni autoctoni di questo territorio: il Teroldego detto anche “sangue di drago” che ne ben definisce il colore rosso e i riflessi violacei.

Quella di questo vino è una vera e propria leggenda che si potrebbe raccontare come favola della buonanotte. Secondo il mito, infatti, la sua nascita si lega all’uccisione di un drago per mano del cavaliere Firmian nelle grotte dell’eremo di Castel San Gottardo che sovrasta il Comune di Mezzocorona (il nome vi suggerisce qualcosa?). Beh stando alla storia fu lui, con un abile stratagemma, a liberare dalla paura gli abitanti. Trafisse il drago con una lancia uccidendolo. Lo portò quindi in trofeo nella città e, trascinandolo, il sangue del mostro che tanto aveva terrorizzato il luogo, lasciò una scia da cui nacquero la vite e quindi i grappoli di un vino che ne ha conservato la potenza. Ci piacerebbe dirvi che sorseggiandolo vi darà la stessa forza e lo stesso coraggio, ma accontentatevi di un momento di pura estasi!

 

Amori tragici: l’Erbaluce piemontese nasce da un mito che abbraccia tutta la meraviglia del pianeta

Torniamo a nord e fermiamoci in Piemonte per parlarvi, un po’ a sorpresa, di un grande bianco: l’Erbaluce. Questo vitigno ce lo hanno lasciato i romani che lo chiamavano Alba Lux, ma a lui si lega una bellissima leggenda legata alla Ninfa Albaluce. Secondo questa storia in un tempo lontano le colline formate dai ghiacciai erano abitate dalle ninfee delle sorgenti, dei laghi e dei boschi ed erano venerate insieme a Notte, Sole, Luna, Venti e Stelle. Alba era una di loro e un giorno, sulla riva di un torrente, incontrò Sole.

Facile dedurre che fu colpo di fulmine (consentiteci la battuta), ma il loro amore era proibito. Luna decise allora di intervenire decidendo di non lasciare il Cielo all’alba, ma di interporsi sul cammino del Sole così che questi potesse raggiungere di nascosto la Terra ed incontrare la sua amata. Da quella eclissi nacque Albaluce “con occhi color del cielo, pelle di rugiada e lunghi capelli splendenti come raggi di sole. La sua bellezza portò gli abitanti della zona ad offrire doni in giorni di festa, fino a quando i frutti del lago non bastarono più al sostentamento”, si legge nella storia. Fu così che decisero di creare un canale per far defluire le acque del lago, ma il gesto si trasformò in tragedia seminando morte. Il dolore della dea si trasformarono in lacrime si alzarono tralicci ricchi di dolci e colorati grappoli di succosa uva bianca: l’Erbaluce.

Un vino da romantici!

 

Anche la diffusione della Tintilla molisana nasce dalla triste storia di un amore sfortunato

Sul perché ci siano spesso tragedie di fronte a grandi rinascite, nel nostro caso nascite, ci sarebbe molto da dire. Ma se ogni mondo è paese, allora non è strano che anche dietro la molisana Tintilla ci sia una storia d’amore. Secondo la leggenda Tintilla era una bellissima fanciulla spagnola che sulle colline molisane rimase per amore. Sì perché era figlia di un luogotenente dei Borboni e di lei si innamorò il primogenito del Conte Carafa, nobile di origine napoletane discente dei Caracciolo.

Come da tradizione la sposa portò alle nozze il vino: un vino spagnolo dal colore rosso rubino, forte e intenso come la passione, leggiamo in alcuni testi, fruttato e dolce come la sposa. Inutile dire che la giovane si ammalò e morì prematuramente lasciando alcune marze di quel vitigno con i cui frutti avevano brindato al banchetto. L’inconsolabile sposo, per ricordarla, l’avrebbe quindi piantata tra i comune di Mirabello e Gildone dove quindi si trova la prima vigna di Tintilla.

 

La leggenda dell’Aglianico del Tiburno è un simbolo d’astuzia: chiedete a Polifemo!

Spostiamoci un po’ e arriviamo in Campania dove, è noto, uno dei vitigni simboli è l’Aglianico. In questo caso parliamo di quello del Tiburno che prende il nome da una montagna, luogo dove a quanto pare si riunivano le streghe di Benevento e dal clima freddo, perfetto per far maturare il vitigno.

Ma la leggenda cui si lega è un’altra e qui il salto d’obbligo e nella grande mitologia greca. L’Aglianico sarebbe nient’altro che il discendente dell’Ellenico, il “rosso vino di miele” che Ulisse offrì a Polifemo in cambio della sua ospitalità. Un vino astuto non c’è che dire.

 

La Sardegna e la sua Vernaccia: ad Oristano il vino è nato dalle lacrime di Santa Giusta

Spostiamoci in Sardegna dove se il re è il rosso Cannonau, non bisogna dimenticare che qui matura anche un ottimo vitigno a bacca bianca: la Vernaccia e nello specifico la Vernaccia di Oristano. Se l’origine del nome è storica e deriverebbe da “vernacula” (uva del luogo) per cui sarebbe di origine romana, la nascita del suo nettare affonda le radici nel credo religioso.

Secondo la leggenda, infatti, avrebbe avuto origine dalle lacrime di Santa Giusta, Santa Patrona della città che l’avrebbe generato per curare la malaria che infestava la zona ricca di paludi.

 

Est! Est!! Est!!! Dal Lazio la leggenda dell’eccellenza che ancora oggi rivive in un corteo storico dedicato a colui che più d’ogni altro uomo ne apprezzò la bontà!

Sebbene non un vitigno, ma un vino, non potevamo non raccontarvi dell’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. Siamo, ovviamente nel Lazio, e la storia di questo vino deriva da una leggenda che si intreccia però con una vera storia. Secondo l’immaginario era il 1.111 quando Enrico V di Germania viaggiava verso Roma per incontrare il Papa e la corona del Sacro Romano Impero. Ad accompagnarlo il vescovo Johannes Defuk, grande bevitore.

A quanto pare quest’ultimo durante il viaggio inviava in avanscoperta il suo coppiere Martino. Non per scovare nemici, ma buon vino. L’accordo era questo. Se avesse trovato buon vino avrebbe dovuto lasciare la scritta Est! davanti la porta della locanda. Se era più che buono Est! Est!! Se era eccezionale Est! Est!! Est!!!

Beh quello di Montefiascone a quanto pare lo era talmente tanto che il vescovo si fermò qui per tre giorni e decise anche di tornarci e restarci fino alla morte avvenuta, si dice, proprio per le troppe bevute. Ancora oggi sulla sua lapide nella chiesa di San Flavio si legge: “per il troppo Est! qui giace morto il mio signore di Johannes Defuk”. A proposito pare che il vescovo lasciò alla città 24mila scudi ad una condizione: che ad ogni anniversario della sua morte si versasse vino sulla sua tomba. E così fu per secoli. Oggi la sua storia rivive persino in un corteo storico.

 

Annibale, gli elefanti e…il Montepulciano d’Abruzzo

Spostiamoci dall’altra parte della costa e andiamo a scoprire la leggenda del Montepulciano d’Abruzzo. Nulla a che vedere con il Nobile di Montepulciano, parliamo di vitigni completamente diversi ognuno con la sua ben definita identità. Decantato anche da Polibio a questo vitigno si lega niente meno che il destino di Annibale. Si dice che il grande condottiero cartaginese, noto per aver svalicato le Alpi con gli elefanti, non sarebbe riuscito nell’impresa se con sé non avesse avuto il vino del territorio degli Aprutzi con cui rinvigorì non solo i suoi uomini, ma lavò anche i cavalli facendoli guarire dalla scabbia.

Per la prossima scalata potreste fare un tentativo!

 

La leggenda del Gallo Nero: lo stratagemma che consegnò a Firenze l’ambito territorio

E’ forse la leggenda più nota nel mondo del vino. Per la Toscana quella che vi raccontiamo è la storia della nascita del Chianti, ai più noto come il Gallo Nero. Anche in questo caso leggenda e realtà si mescolano perché il mito nasce nel periodo di aspre battaglie con cui, per avere il territorio del Chianti, le Repubbliche di Siena e Firenze, combattevano senza esclusione di colpi. Per porre fine alla diatriba e stabilire un confine si decise che i cavalieri delle due città avrebbero segnato il confino partendo insieme all’alba al canto del gallo. Bisognava decisamente scegliere quello giusto. I senesi ne scelsero uno bianco, i fiorentini uno nero che, astutamente, tennero chiuso in una stia piccola e buia e a digiuno per cos’ tanti giorni che, quando fu fatto uscire iniziò a cantare anche se l’alba era lontana.

Il cavaliere di Firenze partì quindi con grande vantaggio tanto che l’avversario riuscì a percorrere solo 12 km con il fiorentino che lo aspetta a Fonterutoli. Ecco come il territorio passò sotto il controllo della città facendo suo uno dei vini simbolo dell’Italia nel mondo.

 

Da Troia a…Troia: è un lungo viaggio nel mito quello che portò Diomede ad approdare in Puglia

Ora spostiamoci in Puglia per raccontare la leggenda di un altro vino che ha saputo affermarsi come eccellenza fortemente ereditaria: il Nero di Toria.

Secondo la leggenda la sua nascita si deve al mitico eroe greco Diomede. Finita la guerra di Troia avrebbe navigato l’Adriatico e risalito l’Ofanto e, trovato il luogo perfetto, avrebbe eretto le mura della nuova città di Troia. Con sé aveva portato, si dice, dei tralci di vite che, piantati sulle rive del fiume avrebbero dato origine all’ottimo vino pugliese!

 

Sbagliare è umano perseverare è diabolico! Non sempre però, ci sono “errori” che si ripetono da secoli e il risultato è un magnifico…Amarone

L’ultima storia che vi raccontiamo è quella dell‘Amarone Veneto. Un grandissimo vino che sarebbe nato niente meno che da un errore. Eh già. Secondo la leggenda il vino, frutto soprattutto di Corvina e Rondinella, sarebbe il risultato di un Recioto fermentato “male”.

A commettere l’errore che si sarebbe rivelato uno dei più grandi successi dell’enologia mondiale, sarebbe stato Adelino, un vignaiolo del territorio che invece di produrre un vino con residuo di zucchero, il Recioto, dimenticò in una botte del vino che era esattamente l’opposto. Un vino si potrebbe definire…amaro!