A Barolo un nuovo museo ad esso dedicato dopo quello nato nell'Oltrepò Pavese. Un oggetto quotidiano dalla storia curiosa e, dal '700, vero e proprio cult tra vezzo e design

“Mi passi il cavatappi?” Quante volte avete pronunciato questa frase. Un’infinità. Ma vi siete mai chiesti quando è nato quest’oggetto, come è nato e quanto si è evoluto? Oggi ne conosciamo di forme diversissime, persino di design, ma quella del cavatappi è una storia antica e assai curiosa.

A raccontarla, adesso, è anche l’omonimo Museo di Barolo. Prima di lui, nel 2006, è nato quello di Montecalvo Versiggina, nell’Oltrepò pavese dove di informazioni su questo “curioso” oggetto se ne trovano davvero tante. In quello di Barolo se ne trovano circa 500! Cavatappi che dal ‘700 ad oggi hanno accompagnato il nostro rapporto con il vino. A raccoglierli, in una cantina del centro storico, è stato Paolo Annone che ha voluto così anche lui ripercorrere la storia di un oggetto cult che, in realtà, affonda le sue origini ancora più lontano.

 

Il cavatappi: lo strumento di pace nato dentro un’armeria

Da arma letale, ad arma da amare. Si potrebbe sintetizzare così la nascita del cavatappi. O meglio una delle ipotesi sul come questo sia nato. Eh sì perché certezze non ce ne sono, ma gli storici hanno cercato di ricostruirla la sua storia, e le teorie sono diverse.

La prima è proprio questa: il cavatappi era una vera e propria arma. Volendo, vista la forma, poteva anche servire per difendersi, ma in realtà, la sua verga attorcigliata e spiraliforme era utilizzata per rimuovere le palle di piombo che restavano incastrate nei cannoni.

Un’altra ipotesi è che è nel silenzio dei conventi che sia nato questo oggetto oggi immancabile in ogni cucina del mondo. Il suo precursore sarebbe infatti stato il punteruolo per le botti.

Ad avvalorare la prima tesi il brevetto ottenuto nel 1689 dall’armeria inglese Messrs Holtzapffel di Charing Cross. Brevetto ottenuto per fabbricare quello che oggi conosciamo come cavatappi e che, a quanto pare, era forgiato anche nelle botteghe di piccoli fabbri e artigiani che nel tempo lo trasformarono in “viti per bottiglie”.

Che la sua nascita sia strettamente legata al vino, invece, lo testimonierebbe una pala d’altare del 1450 in cui si vede una suora che, tenendone tra le mani uno, spilla vino da una botte.

Una cosa è certa: la nascita del cavatappi come oggetto legato al vino è dovuta all’affinarsi del piacere dell’uomo. Compresa la capacità di invecchiare della bevanda, infatti, si rese necessario trovare un modo per conservarlo (il tappo) e uno per consumarlo a tempo debito (il cavatappi).

 

Il cavatappi era roba da ricchi: non solo oggetto da vino, ma vero e proprio accessorio da mettere in mostra

L’anno di svolta è il 1795. Il brevetto stavolta è per il “cavaturaccioli”. Ad ottenerlo è il reverendo Samuel Henshall. Da quel momento il cavatappi non è più un oggetto artigianale, ma un vero e proprio utensile da produrre in serie.

Ovviamente era roba da ricchi! E questo significò sfarzo e creatività. Neanche fossero uova di Fabergè, i cavatappi erano commissionati dai nobili e benestanti d’Europa che chiamavano a corte i migliori artigiani per sfoggiare, magari nei grandi banchetti, capolavori in oro, argento e altri materiali preziosi che fossero quelli che oggi definiremmo pezzi unici.

Così unici che le dame del tempo li appendevano alla placca dorata che usavano portare attaccata alle vesti: la chatelaine. Gli uomini non erano da meno e li sfoggiavano appendendoli alla catena dell’orologio o, magari, incastonandoli nei bastoni da passeggio.

La rivoluzione industriale, oltre che nelle fabbriche, porta insomma novità anche nel mondo del vino. Quando arriva il cavatappi in Italia? Nel 1860. Che sia stato lui lo strumento della nostra Unificazione? Chi lo sa, certo è che lontani dalla mania anglofona, il nome glielo abbiamo dato italianissimo, rubandolo ai francesi: il nostro era il Tirabuscione!

 

Il cavatappi: dalla forza alla semplicità. Il suo design è in continua evoluzione e in alcune forme è un vero e proprio cult

 

 

 

 

Quanti tipi di cavatappi esistono? Difficile a dirsi. Il vino è un bene mondiale, un patrimonio che ovunque sia stato possibile si è imparato a realizzare. Ecco un piccolo exursus tra quelli più noti che hanno attraversato la storia.

 

  • Il Cavatappi a “T” o Cavatappi semplice. E’ quello che abbiamo tutti e precede quello con le leve che ha semplificato sì l’apertura delle bottiglie, ma che mai e poi mai troverete in mano a un sommelier. E’ il classico cavatappi con manico cui è fissata la spirale (o verme). Normalmente il manico è in legno. Può essere di bosso, di noce, di faggio e, con più eleganza, di ebano. Ma per chi ama sfoggiare non mancano il ferro, l’argento, l’ottone, l’osso e l’avorio lavorati per impreziosirlo. Diciamolo: è quello che richiede maggior forza fisica. Se il tappo è particolarmente ostico non vi basteranno mano, braccia, spalla e schiena. Mettete la bottiglia tra le gambe e tirate. Se siete il sommelier di un ristorante, però, portatela indietro e cambiatela, gli ospiti ringrazieranno.

 

  • Il cavatappi tascabile. Questo è per tutte le occasioni. Per gli amanti del vino è più utile di un coltellino svizzero. Un oggetto “vitale”. Nato nel XIX secolo è anche un oggetto di design. E’ semplicemente richiudibile con il manico che, oltre a fungere da leva, incorpora spesso una piccola lama per la rimozione della capsula che custodisce il tappo della bottiglia. Già nel ‘700 ve ne erano esemplari meravigliosi dove a fare la differenza era l’astuccio decorato in cui custodirlo.

 

  • Semplificarsi la vita si può con il cavatappi a meccanismo. Se quello a “T” resta, ad oggi, il cavatappi per eccellenza, la voglia di eliminare lo sforzo fisico non è mai mancata. E così, sempre nel ‘700 secolo del suo exploit, si studiò un modo per evitare di sforzarsi tanto nell’estrarre il tappo. Il cavatappi, infatti, possiede una struttura metallica “a campana” che si poggia sul collo della bottiglia. Il tappo viene in qualche modo incastrato al suo interno rendendo più semplice il gesto di sfilarlo. Nel tempo il meccanismo è stato migliorato facendo nascere il cavatappi “a manovella” e quello a “pignone” o a “cremaglia”.

 

  • Il cavatappi a leva è quello che più facilmente troviamo in casa ed è nato nel ‘900. La differenza è proprio nelle leve per cui il principio di utilizzo si basa sulla pressione e la trazione. I più comuni: quelli a fisarmonica! Il merito? Tutto di Dominick Rosati che, nel 1930, mise le ali al cavatappi.

 

Quando l’oggetto prende vita…

 

Infine i cavatappi figurativi. Lo abbiamo detto all’inizio. Questo oggetto oggi di uso quotidiano era nato come vezzo dei ricchi. Questo portò, già all’epoca, a stimolare la creatività degli artigiani chiamati a crearne ad hoc per colui che li commissionava. In un certo senso erano già quelli oggetti di design. Oggi impazzano in ogni forma e colore e tutti possono averne uno! Tra quelli cult, però, i veri amanti dovrebbero certamente conservarne nel loro cassetto uno in particolare: Anna G ispirato, a quanto pare, ad una donna reale che è lei stessa designer (Anna Gili). Un oggetto di design, creato da uno dei designer più famosi, Alessandro Mendini, dedicato ad una collega designer, a cui ha messo braccia al posto di semplici leve, conferendo ad un oggetto comune, un certo fascino femminile. Un cult di fine anni ’90 da vero collezionista, in cui forma e colore dell’oggetto, si sposano con il gusto e i sapori del vino!

 

Ci scusiamo per non aver mai usato il termine francese “tire-bouchon”, ma a noi tirabuscione piace parecchio e che sia chiaro, il “pop” del tappo di sughero resta un must e il suo fascino è intramontabile.