Brad Ford, enologo e viticoltore ha fatto una scelta ben precisa: niente elettricità e niente modernità. Qui le tecniche di vinificazione sono antiche. La sua ultima impresa? Il 'torchio di Catone'

 
 
 

Il vino dell’antica Roma rivive in Oregon grazie all’audacia di un enologo viticoltore che nel nome ha una ‘rivoluzione’

Ph: Doc e Bea pagina Fb Illahde Vineyards
 
L’elettricità non c’è. Qui ad arare ci pensano Doc e Bea, due cavalli (e sul nome del primo sentiamo che qualche affinità con l’Italia attuale c’è). Il periodo del Covid per questo enologo e viticoltore d’eccezione è stata l’occasione per iniziare a lavorare a quello che è forse il più grande progetto cui si è dedicato negli ultimi anni: la costruzione di un antico torchio, sulle basi di quanto raccontato dallo studioso romano Catone, autore del De Agri Cultura. Quando sarà finito peserà 1 tonnellata e sarà lunga 60 piedi: la più lunga di tutti gli Stati Uniti.
 
L’ultima idea di Ford che nel nome ha tutta una rivoluzione. Suo padre coltivava uva per hobby. Solo nel 2000 ha iniziato a fare vino in modo professionale. Brad ha quindi studiato da enologo e circa sei anni dopo è diventato il gestore dell’azienda. La vinificazione moderna la conosce eccome: l’ha anche studiata al college. Ma il vero fascino della vinificazione, per lui, è tutto nell’antichità e così nel suo appezzamento dell’Oregon ha compiuto un vero e proprio viaggio nel tempo.
 

Doc e Bea: sono loro ad arare, sfalciare e trasportare. Qui il vino è un viaggio nel tempo e un viaggio attraverso lo Stato

 
Il primo passo è stato proprio quello di comprare i due cavalli da tiro: Doc e Bea. Lo ammette Bard Ford: non sono il modo più efficiente per coltivare, ma “è divertente stare con gli animali: ottieni un enorme beneficio umano da uno stile di vita più antico e naturale”. Il loro compito non si ferma qui. Dateci un minuto e ci arriviamo. L’azienda produce annualmente da 8 a 12 botti di pinot nero che vinificano in luoghi dove l’elettricità, l’acciaio e tutto ciò che è arrivato dopo il 1900, non esiste.
 
Le uve provengono dall’acro di terreno dell’azienda. Vengono raccolte esclusivamente con i cavallo per essere poi divise con una macchina a bicicletta, pressati in cesti di legno e fermentati con lieviti naturali in una vasca anch’essa di legno.
 
Anche la logistica è particolare. Per arrivare al distributore a Portland il vino di Ford viene trasportato con una diligenza (sì avete capito bene…una diligenza), sulle rive del Willamette. Qui c’è una canoa. Ford e due suoi collaboratori trascorrono tre giorni a pagaiare fino a Oregon City. Qui le casse vengono messe su una bicicletta e via all’ultima tappa.
 
Quasi un thriathlon, ma lo ammettiamo, ne siamo affascinati.
 
 

Il vino dell’antica Roma rivivrà anche grazie all’ultima, ‘folle’ impresa che Ford sta realizzando: il torchio di Catone!

Ph: Torchio monumentale del XVII – XVIII secolo che richiama il cosiddetto Torchio di Catone custodito nel Museo del vino di Torgiano
 
“La scienza è un modo per affrontare le cose e io adoro la scienza”, dichiara a VinePair Ford. Ma sebbene non abbia nulla contro la modernità, resta convinto che i cibi migliori siano quelli non elaborati e non prodotti nei laboratori e la stessa cosa vale per il vino. “Ogni esperimento che stiamo facendo ci porta verso una vinificazione più storica della moderna vinificazione scientifica. E’ una vinificazione più naturale che produce solo i migliori vini”.
 
Ora l’ultima impresa: il gigantesco torchio descritto dallo studioso Catone. Ad aiutarlo il suo migliore amico: Erik Jensen, insegnate di fisica al Chemeketa Community College. Quando Ford gli chiese quanto fosse grande un raggio necessario per far funzionare una pressa per cestelli capace di gestire la sua capacità di produzione la risposta è stata: 60 piedi.
 
Per poterlo realizzare ha abbattuto un  Douglas morente di 130 piedi che si trovava sulla sua proprietà. Ha quindi chiamato una segheria locale per vedere se potevano trasformarlo in un torchio. Gli hanno detto di no: i camion non possono trasportare alberi ipù lunghi di 50 piedi. A quel punto gli ha chiesto come avrebbe potuto fare per realizzare la sua idea. La risposta è stata chiara: usare una motosega.
 
Sembra una fiction ma non lo è. Ford ha quindi portato sul campo un escavatore da 7 tonnellate per sollevare l’albero e lo ha così tagliato su misura costruendo in più un carrello per la motosega, l’unico elemento meccanico da queste parti a quanto pare. A mano non era proprio fattibile. Quando avrà finito di lavorarlo il raggio sarà largo 14 pollici all’estremità più stretta, spiega, e 2 piedi sul lato opposto. Poi sarà il turno della ruota che permetterà alla pressa di salire e scendere. Il risultato, ne è certo, sarà una pressa capace di fare un lavoro quattro volte superiore a quello di ora. E lo farà anche più velocemente.
 

Per Ford il mantra è uno e uno solo…

 
Perché il lavoro finisca e funzioni ci vorranno anni. Ma a lui, lo dice esplicitamente, non interessa l’aspetto economico di questa impresa che non c’è. “Puoi facilmente acquistare qualcosa di molto più veloce che già funziona che è controllato da un computer, ma è molto meno divertente”. Il suo mantra? Quello giapponese, così racconta. O meglio degli artigiani giapponesi che trascorrono la loro vita a perfezionare le loro abilità e comprendere la loro arte. “Costruiscono i propri strumenti. Fai il tuo coltello, fai la tua sega, fai le tue pentole o qualsiasi cosa tu voglia utilizzare per il tuo mestiere”.
 
Vi diciamo la verità. A noi è venuta voglia di assaggiarla una bottiglia di vino del signor Ford, ma non abbiamo idea di quanto si debba pagaiare per attraversare tutto l’oceano!