L'Uiv: più 3% nel primo trimestre 2016 grazie alle bollicine, ma tanti i rischi in caso di leave

Export. Partiamo dal dato positivo: l’export cresce. Passiamo a quello negativo: la Brexit incombe. L’Uiv (Unione Vini Italiani) fa il punto sul primo trimestre 2016, ma se le dichiarazioni del presidente Antonio Rallo sono incoraggianti, leggendo le informazioni ufficiali riportati sul sito dell’Unione qualche domanda è d’obbligo porsela.

Innanzitutto i dati registrati, che parlano di un +3% tra gennaio e marzo per l’export rispetto allo stesso periodo del 2015, sono sì incoraggianti, ma “volatili” con il dato legato soprattutto agli spumanti che si confermano il trend maggiore per l’enologia italiana. Solo le bollicine, infatti, hanno fatto registrare un +21% con 678mila ettolitri venduti (+26%) per un totale di 230 milioni di euro. E’ il Prosecco, sulla scia di quanto decretato a fine anno, a trainare il settore. L’incremento è del 31% del valore pari a 174 milioni di euro e un +33% dei volumi esportati: si parla di 461 mila ettolitri.

 

Export

 

Se è vero però che la volatilità del dato potrebbe dipendere anche dalla Pasqua anticipata, altro dato su cui porre attenzione è il mercato in cui le bollicine ha fatto più proseliti: quello del Regno Unito. Paese protagonista per 24 dei 31 milioni di euro in più di spumanti venduti. Con il fiato sul collo della Brexit il rischio è evidente e l’Uiv non lo nasconde. “Se vincesse il sì – cioè l’uscita dall’Europa – la sterlina perderebbe immediatamente valore, rendendo più costosi i nostri prodotti”.

Poco incoraggianti in uno scenario che è un’incognita più che una certezza, sono i dati sui vini fermi imbottigliati. Se negli Usa continuano a far registrare il segno più, i vini italiani perdono il 5% nel mercato tedesco e il 16% in quello inglese. Sembra invece si sia arrestata l’emorragia del vino sfuso. Nei primi 3 mesi del 206 sono infatti stati esportati 1.3 milioni di ettolitri con un calo limitatosi all’1%. Un margine positivo garantito alla crescita registrata nei paesi nordici, la Svizzera (18-20%) e nel Regno Unito (+6%). 

Un sali scendi del “Paese che vai mercato che trovi” che tuttavia il presidente dell’Unione Italiana Vini legge positivamente: “E’ evidente – afferma Antonio Rallo – che la qualità italiana sui mercati stranieri venga recepita in modo netto. Che i nostri prodotti siano riconosciuti come ambasciatore del migliore made in Italy. Il calo ormai strutturale dell’export dei vini comuni e sfusi in favore dei prodotti di qualità, sollecita uno sforzo ulteriore. Sforzo che dobbiamo fare come Sistema Paese. Così possiamo conquistare nuove quote di mercato per i nostri vini a Denominazione di Origine. Il 2016 dovrà essere l’anno in cui si ricomincerà a vedere incremento sui loro volumi. La progressione dell’export – conclude Rallo – incide positivamente anche sulle quotazioni dei vini nel mercato interno. Segno che la catena del valore del vino sta portando risultati positivi in tutta la filiera”.

Un po’ troppo presto per dire se davvero sarà così. E’ difficile leggere i dati di un trimestre così altalenante. Dati che certamente confermano la solidità, nell’export, del vino italiano, ma che rischia con la Brexit. Una possibilità che aggiungerebbe un problema all’altro grande problema: quello del mercato interno. Quello che, ha ricordato pochi giorni fa il Sole24Ore deve ancora fronteggiare problemi atavici. In primis  quello della difficoltà, per i produttori, di ottenere pagamenti tempestivi da parte dei rivenditori.