La resistenza dei vigneti in tre pensieri: la naturalità di VinNatur, l'innesto interspecifico Maculan e la nuova fronitera della cisgenetica. Idee diverse, ma un solo obiettivo: la sostenibilità

Le correnti di pensiero sono tante. Le opportunità infinte. Il mondo del vino è in continua evoluzione. Quel che è certo è che la sostenibilità da semplice “parola” sta diventando sempre più un obiettivo reale. Lo diventa per soddisfare i mercati, certo, ma anche per evitare di disperdere il nostro patrimonio vitivinicolo che, in quanto a biodiversità, non ha paragoni.

Se da una parte c’è chi punta sull’eliminazione dei pesticidi, in particolare del glifosfato, obiettivo che si è prefissa la Doc Prosecco o chi punta al risparmio delle risorse idriche o ancora chi punta alle emissioni zero con il Nobile di Montepulciano che potrebbe diventare la prima denominazione italiana a centrare l’obiettivo, dall’altra c’è la necessità di far sì che le viti riescano a sopravvivere ai batteri e alle minacce che danneggiano piante, produzioni e, di conseguenza, vendemmie, imbottigliamenti e riuscite sul mercato.

Pensieri differenti con obiettivi simili. Ultima sfida quella di Maculan che per la 50esima vendemmia punta ad avere vitigni tutti resistenti. Ma qual è la differenza tra un vitigno naturale, uno che la resistenza la ottiene per innesti e la nuova frontiera della cisgenetica? Abbiamo cercato di capirci qualcosa per comprendere quanta varietà, nel mondo del vino, ci sia anche nel modo di viverlo.

 

Ripensare il vino: chi punta sulla naturalità e la natura. L’esempio positivo di VinNatur

 

ripensare il vino vini-naturali

 

Partiamo dai vini naturali e citiamo l’esempio di una delle associazioni più importanti in questo senso: quella di VinNatur. Quella che sembrava l’utopia di colui che si definisce un “vignaiolo di campagna”, Angiolino Maule, è diventata una realtà capace di raggiungere gli obiettivi prefissatisi. Verso i vini naturali c’è un’attenzione sempre maggiore, anche da parte dei consumatori. La sostenibilità è intrinseca alla filosofia stessa che c’è dietro questa scelta. Una scelta non facile perché si avvale esclusivamente del rapporto dell’uomo con la natura. Del rispetto pressocché totale nei suoi confronti. Dall’osservazione dei suoi tempi e dei suoi comportamenti e da interventi dell’uomo che si limitano a fare proprio della natura lo strumento con cui combattere i rischi legati alle malattie che possono colpire le vigne.

Quando parliamo di vino naturale parliamo di un vino in cui è escluso completamente l’uso di pesticidi di sintesi, erbicidi e insetticidi. Le uve sono raccolte a mano. La fermentazione è spontanea senza lievi, enizimi o altri aiuti. Non c’è l’aggiunta di zuccheri né quella di mosti concentrati così come non è fatta alcuna aggiunta di acità o di altri additivi. Niente mirco-ossigenzaione o osmosi inversa. Niente chiarificazioni e micro-filtrazioni.

 

Gli strumenti per tutelare la biodiversità ce li fornisce la natura

Quella dell’associazione VinNatur abbraccia completamente questo pensiero e lo ha trasformato in una vera e propria filosofia. Ci sono voluti 10 anni perché si ottenesse il disciplinare, ma il pensiero di Maule, in questo arco temporale, non è mai mutato e ciò che ora è su carta era già di fatto nelle operazioni in vigna e in cantina. Nessun pesticida e una regola rigidissima: se per tre anni consecutivi le analisi dei campioni di un’azienda risultano per uno qualunque dei circa 200 pesticidi analizzati, fuori parametro, c’è la cancellazione. Il risultato? Dai 50 iscritti del 2003 VinNatur ne conta oggi 170 provenienti da 70 Paesi europei. E proprio quest’anno le analisi degli 80 campioni selezionati tra i nuovi iscritti e quelli che erano caduti in fallo l’anno precedente hanno dato un risultato senza precedenti: nessun pesticida in nessuno di essi.

Una realtà, quella dell’associazione, che è molto più di questo. Diversi i progetti in atto. Primo tra tutti quello della Biodiversità del vigneto che vede impegnate 17 delle aziende iscritte. L’intenzione è di sviluppare un modello scientifico che consenta uno sviluppo sano delle piante aiutate esclusivamente con estratti vegetali ed essenze naturali. Per chi abbraccia questa filosofia, insomma, il rispetto di ciò che esiste è totale. La biodiversità un patrimonio da tutelare che ha solo bisogno di un aiuto, rigorosamente naturale, per far sì che le viti siano in grado di autodifendersi.

 

Ripensare il vino: innesti secondo natura. Chi nella natura vede lo strumento della resistenza. L’esemipo Maculan

 

ripensare il vino vitigni-resistenti

 

Se da una parte c’è chi è convinto che la biodiversità si possa tutelare da sola, con l’uomo chiamato ad un interventi minimale che si limiti ad usare ciò che la natura stessa gli mette a disposizione, dall’altra c’è chi vede proprio nella natura il potenziale per far sì che la resistenza dei vitigni diventi uno status quo. Quando parliamo di vitigni resistenti ci riferiamo a quei vitigni ottenuti attraverso l’ibridazione. Si badi bene, anche in questo caso il processo considerato si fonda sulla naturalità, ma in questo caso l’intervento dell’uomo passa attraverso la conoscenza capace di intervenire per far sì che dagli incroci delle viti si formino piante capaci di resistere a malattie qual è la peronospora. 

L’incrocio presuppone una parentela tra le due specie di vite che si andranno ad innestare. Questo per garantire la fedeltà organolettica ed enologica di un vitigno e per essere certi di operare nel rispetto della natura. Gli incroci, d’altra parte, sono quelli che naturalmente hanno fatto sopravvivere molte specie che si parli di vegetali o meno.

E’ una questione di genetica che nulla ha a che fare con l’Ogm. Ed è da questa che si determina la resistenza. L’obiettivo è sempre lo stesso: la sostenibilità ambientale.

 

L’incrocio interspecifico ha sì a che fare con la genetica, ma nulla con la modificazione genetica. L’avanguardista Maculan

La prima azienda in Italia che mira a convertire tutti i suoi vigneti in vigneti resistenti è la vicentina Maculan. La cantina del mitico Torcolato (e non solo), impianterà in autunno due varietà resistenti selezionate dall’Università di Udine: il Merlot Khorus e il Sauvignon Ryots. In dieci anni la riconversione, è questo l’obiettivo, interesserà tutte le varietà coltivate.

“Il primo impianto sarà complessivamente di sole 4mila viti – ha dichirato la responsabile della produzione Maria Vittoria Maculan -. La nostra intenzione è quella di rinnovare via via i vigneti più vecchi con varietà resisteni  alle malattie. Queste varietà non sono geneticamente modificate – specifica -. Sono ottenute da incroci intraspecifici con il cambiamento solo del 5% dei cromosomi, ovvero di quelli responsbaili degli effetti delle malattie sull’uva”.

Applicare solo uno o due trattamenti l’anno invece dei dieci, undici attuali, vuol dire intervenire in modo quasi nullo sull’ambiente. In quanto ad innovazione l’azienda ha sempre dimostrato di essere un passo avanti. Anche nel rispetto del territorio. Di pari passo con l’agricoltura 4.0 delle viti, infatti, c’è anche quella della gestione dei vigneti. Saranno infatti introdotti macchinari irroratrici all’avanguardia per evitare la dispersione dei prodotti di difesa utilizzati. Nel 2020, promette l’azienda, ci sarà la prima vendemmia “resistente”, con le caratteristiche enologiche ed organolettiche identiche a quelle che, di quest’azienda, hanno fatto un punto di riferimento in termini di qualità.

 

Ripensare il vino: dal laboratorio alla vigna secondo la cisgenetica. I big del vino che credono nell’alternativa al bio

 

ripensare il vino cisgenetica

 

La nuova frontiera sembra essere quella della cisgenetica. Al momento, in Italia, l’uso di questa tecnica è consentita solo sulle mele. Ma nei laboratori dell’università di Milano la ricerca prosegue grazie anche al supporto di importanti aziende vitivinicole che, in questa nuova tecnica, ci credono fortemente. Per chi, come noi, non è avvezzo alla scienza, il termine può fare un po’ paura. Quando si parla di genoma, genetica e dna tendiamo a pensare sempre che ci sia qualcosa che non va. Chi però sostiene che sia questa la strada da percorrere precisa che la cisgenetica non ha nulla a che fare con le tecniche transgeniche degli Ogm.

La voce più importante, in Italia, è certamente quella del professor Attilio Scienza. Il docente dell’Università di Milano che segue diversi progetti per importanti cantine riguardo proprio la tutela della biodiversità, è convinto che quella del biologico sia una strada perdente. La resistenza delle viti, anche alla luce dei cambiamenti climatici, è dunque per lui possibile solo attraverso la cisgenetica e in particolare attraverso lil genoma editing. Il fine è sempre lo stesso: eliminare la chimica dalle vigne così che le viti sviluppino caratteristiche tali da proteggerle dalle malattie storiche e quelle che, le nuove condizioni del pianeta, generano o potranno genereare.

Proprio i cambiamenti climatici e l’invecchiamento degli impianti portano, ogni anno, alla perdita del 3-5% dei vigneti.

 

Intervenire sul genoma e il dna senza snaturalizzare i processi

Il dibattito è dunque sul se questa tecnica abbia a che fare con l’Ogm. Il professor Scienza afferma chiaramente che non è così. A differenza della transgenesi, infatti, nella cisgenetica vengono trasferiti solo genti di organismi strettamente imparentati. E i grandi del vino in questa tecnicia ci credono fortemente. Winegraft è infatti una società di nove aziende vitivinicole italiane che hanno messo in gioco mezzo milione di euro per suppertare l’università e il suo planning di sviluppo 2030. Parliamo di Ferrari, Zonin, Banfi Società Agricola, Armani Albino, Cantina Due Palme, Caludio Quarta Vignaiolo, Berani Domanis Nettuno Castellare e Cantina Settesoli.

Il dibattito al riguardo varca i confini nazionali e, ovviamente, quando si parla di scienza i pensieri sono sempre contrastanti. E’ pur vero che la reticenza viene spesso da un retaggio culturale. Provare e capire è sempre e l’unica strada per trovare risposte. In fondo la scienza è questo: sperimentazione. Farne di più per riuscire ad affermare la propria convinzione è l’obiettivo di chi vuole percorrere questa strada. Prima, però, ci vuole un regolamento Ue che, al momento, resta al palo sebbene il dibattito sia pienamente aperto. Al momento, infatti, per la cisgenetica valgono le stesse regole della transgenesi. Ferrea l’opposizione degli scienziati che, a gran voce, chiedono una distinzione.

Comunque la si pensi, qualunque sia la scelta che si possa fare, quali che siano i pro e i contro di ogni posizione c’è una certezza: tutti vogliono la sostenibilità…e non solo a parole!