Il primo rapporto del Laboratorio del Gavi e il CeSTIT parla di un matrimonio felice e delle grandi potenzialità del marketing 'artistico'

Vino e arte. Ha rimbalzato un po’ ovunque il primo rapporto “Wine, Food & Arts in Italia” elaborato, per la prima volta, dal Laboratorio del Gavi (Consorzio di Tutela del Gavi) e il Centro Studi per il Turismo e l’Interpretazione del Territorio di Bologna (il CeSTIT). Un’indagine sul felice connubio arte-enogastronomia che oltre però agli argomenti che dei più hanno attirato l’attenzione (cioè i numeri), offre anche altri punti di vista, o meglio degli spunti che meritano di essere approfonditi.

Se a destare il maggiore interesse è stato certamente il fatto che chi ha investito in una cantina d’autore ha visto aumentare le vendite fino al 67%, così come l’incremento del 40% lo hanno fatto registrare quelli che hanno puntato su packaging e etichette d’autore e un +25 lo hanno invece segnato nei loro libri contabili coloro che hanno deciso di veicolare il loro brand attraverso installazione artistiche o, ancora, ospitando musei del cibo e del vino (+20%) o organizzando eventi e manifestazioni +8%) è l’aspetto “social”, appena accennato, quello che ha attirato la nostra attenzione.

vino e arte

 

Perché? Perché questi numeri sono in fondo il frutto di un’attività capace di veicolarsi attraverso i social media. La dimostrazione che, se ben usati e con il coraggio di affidarsi a professionisti del settore, gli investimenti hanno un potenziale di ritorno notevole. Senza contare che la soddisfazione di chi investe è del 100%.

Come si ricorda nell’analisi l’esigenza è quella di far propria la massima di Piene Gilmpur scritta nel 1999: “il lavoro è teatro e ogni business è un palcoscenico”. Sta poi alla singola azienda trovare le chiavi giuste per fare pubblico. E sul territorio l’impresa di far coesistere vino e arte sembra proprio che funzioni. Un dato emerso con largo anticipo anche da un’analisi del Sole 24 Ore. Quel che ancora manca, però, è la capacità di uscire dai confini nazionali.  Non che il 16% degli stranieri arrivati nelle cantine prese in esame come case history di successo siano poche, ma che potrebbero essere molti di più è un fatto e certamente un tasto su cui premere per far sì che suoni belle melodie. 

 

vino e arte

 

Qualcosa, nella comunicazione, manca ancora. Non è un caso che proprio questo è quanto emerso qualche mese fa dall’analisi di Gusto Digitale. Ma il successo c’è e il plauso è meritato. Esistono dunque strategie di marketing capaci di colmare il gap comunicativo? Certamente. Di nuovo prendiamo in esame il dato che più ci ha colpiti di questa analisi: il numero dei foodies. Quelli in cui oggi includiamo anche i cosiddetti winelovers.

Tendiamo a pensare, anche leggendo articoli e ricerche, che il fenomeno sia attuale, ma così non è. Lo è nella misura in cui oggi ha preso il “virus” della socialità. La parola foodies, si legge nel rapporto, è stata infatti pubblicata sul New York Magazine da Gael Green nel 1980. Diffusione l’ha trovata nel 1984 con il libro “The official Foodie handbook) di Barr e Levy. Per loro un foodie è un giovane appassionato della media borghesia a cui piace collezionare esperienze enogastromiche presso rinomati ristoranti.

 

vino e arte

 

Sapete quanti sono oggi i foodies in america? Il 19,5% della popolazione adulta cioè circa 44 milioni di persone. Da sole rappresentano il 47% dei ristoranti statunitensi. In Italia sono circa 10 milioni, il 5% della popolazione compresa tra i 25 e i 74 anni. Possiamo immaginare che nel 1984 con internet agli albori il loro potere di influencer fosse minimale. Provate ora ad immaginare con Facebook, Twitter, Intagram, Pinterest e i social media in generale, quanto potere hanno grazie al click di una fotocamera, la digitazione di un hashtag o le parole di un post. Tendenzialmente infinito!

Ecco perché i social media, i professionisti della comunicazione e le piattaforme web ben strutturate così come quella da cui stiamo scrivendo, rappresentano una novità e un’esigenza. Sono la chiave di volta per uscire dalla territorialità. Lo strumento che potrebbe fare del marketing territoriale veicolato attraverso il rapporto vino e arte un grande successo e non solo un successo. 

E la qualità premia la qualità: sono infatti soprattutto le microimprese ad aver deciso di investire in “vino e arte”; quelle che hanno almeno una certificazione. Insomma “investire in questo settore più contribuire a migliorare quegli asset intangibili che influenzano il sistema dei valori aziendali e promuovono l’innovazione, con ricadute positive sia in termini di immagine che di relazione. Le ragioni principali sono infatti aumentare la visibilità e rafforzare le relazioni esterne.

 

Crediti fotografici: foto estrapolate dal Rapporto Wine, Food & Arts Italia. La foto in home page Taz – Flickr CC