I produttori della zona fremono per avere la parola "Nebbiolo" in etichetta. Le Langhe disapprovano. Petrini ammonisce tutti: Dolcetto e Barbera destinati a sparire senza valorizzazione della biodiversità

.No alla grande Doc, ma sì a quella più “restrittiva” del Monferrato Nebbiolo Doc. Non sono mancati i momenti di tensione, ma le trattative non si sono mai concluse. Alla fine, in Piemonte, per uno dei vitigni più importanti e possiamo dire ormai più diffusi, sembra essere stata decisa una strada. Quella sin dall’inizio auspicata da Orlando Pecchenino produttore e presidente del Consorzio Barolo, Barbaresco, Alba, Lanche e Dogliani: creare una Doc che non svilisse il Nebbiolo. Almeno nelle intenzioni. Ma davvero sono tutti contenti? Non proprio. E se per il Prosecco si era parlato di “prosecchizzazione“, c’è una voce autorevole che mette in guardia: attenti alla “nebbiolizzazione“.

 

Monferrato Nebbiolo Doc: il vitigno che fa numeri vuole fare sistema

monferrato nebbiolo doc vitigno

Quel “Piemontese” nella Doc pensata inizialmente proprio non piaceva. Andare troppo al di là dei confini di un vitigno autoctono che soprattutto nelle Langhe e nel Roero ha la sua casa aveva fatto puntare i piedi a tutti i produttori. L’idea del Monferrato nella denominazione, invece, piace di più. Anzi, a quanto pare accontentare tutti o quasi. Gioiscono, e non poco, i produttori del Monferrato. D’altra parte questo insieme a Langhe e Roero costituisce un sito patriomonio dell’Unesco. Non solo. Il Monferrato, ad oggi, imbottiglia il Nebbiolo sotto l’etichetta Vino Rosso. Facile immaginare che riuscire ad apporre la parola Nebbiolo sulla stessa sarebbe per loro una grande spinta soprattutto verso l’export. 

Basta un dato per comprendere il perché di tanto entusiasmo. Il 70% del Nebbiolo finisce proprio oltreconfine con il Ghemme (vino realizzato in gran parte con uve Nebbiolo) che ha festeggiato i suoi 20 anni vedendo salire il suo prezzo in enoteca dagli 8 iniziali ai 25 attuali. Un ottimo esempio ne è quello dell’azienda Torraccia di Piantavigna Se parliamo di Nebbiolo in purezza, cioè di vini prodotti esclusivamente con questo vitigno allora dobbiamo parla di Barbaresco, Barolo, Carema, Nebbiolo d’Alba, Langhe Nebbiolo. 

Quando parliamo di Nebbiolo in effetti gli esempi d’eccellenza non mancano. Pensiamo al Barolo Vigna Rionda di Massolino o il Prapò di Ettore Germano; al Carema della Cantina Produttori Nebbiolo di Carema o ancora al barbaresco Costa Russi di Gaja. Se da una parte è dunque facile capire quanto questa Doc faccia gola ai produttori del Monferrato che potrebbero finalmente utilizzare la parola “Nebbiolo” è altrettanto semplice capire lo scetticismo di quelli che, il Nebbiolo, lo coltivano sulle meravigliose e anguste Langhe e che vedono in questa Doc una minaccia alla loro.

 

Monferrato Nebbiolo Doc: chi ci crede vuole arrivare velocemente alla conclusione dell’Iter

monferrato-nebbiolo-doc-paesaggio

Il progetto fa gola ai più. E per chi lo porta avanti riuscirà a convincere anche i “langaroli” e i produttori di Roero più scettici. Nel disciplinare si parla di una resa di 90 quintali per ettaro. Una tolleranza solo del 10% della presenza di altri vitigni e di un affinamento minimo di 12 mesi: 18 nella versione Monferrato Nebbiolo Doc Superiore. Tra i favorevoli ci sono anche cantine importanti della zona monferratina: un esempio è quello di Accornero. Ma a vedere di buon occhio la proposta non sono solo i produttori. Anche la Coldiretti la pensa così. Lo afferma il responsabile provinciale del settore vinicolo dell’associazione Valerio Scarrone. Per lui quella del Monferrato Nebbiolo Doc “è una grande opportunità. Confidiamo che la Doc venga riconosciuta in tempo per la vendemmia 2017”

I produttori della zona, insomma, ci credono. E sebbene sia presto per ragionare in grande sono convinti che nonostante la concorrenza con le Langhe sapranno prendersi le loro fette di mercato e far bene anche nell’export. 

 

Monferrato Nebbiolo Doc: denominazione o no il rischio è la “nebbiolizzazione”

monferrato-nebbiolo-doc-carlo-petrini

Se contro il Piemonte Nebbiolo Doc pareri negativi erano arrivati anche da autorevoli riviste quali ad esempio Wine Enthusiasm, c’è un autorevole voce, tutta italiana, che aveva già criticato l’eccessiva “barolizzazione” definiamola così di questo vitigno. Voce autorevole che, di nuovo, ha fatto sentire il suo dissenso non tanto verso la nuova Doc, quanto la smisurata produzione di Nebbiolo. La voce è quella del patron di Slow Food Carlo Petrini. La sua critica: l’esponenziale diffusione di un vitigno che sta cancellando grandi eccellenze di un territorio che rischia, così come qualcuno ha ipotizzato per il Prosecco, la “nebbiolizzazione”.

E la sua critica è proprio verso quei produttori che temono la nuova Doc: i produttori delle Langhe che, spesso, sono anche quelli che producono quelle eccellenze che rischiano di scomparire. L’allarme Petrini lo ha lanciato dalle colonne del quotidiano La Repubblica. Semplice e chiara la sua denuncia: troppi produttori tolgono viti di altri autoctoni per far spazio al Nebbiolo. Il risultato? Che Barbera, Dolcetto e Freisa precipitano inesorabilmente

 

Dolcetto, Barbera: i numeri di una crisi 

Il Dolcetto Dogliani tra il 1970 e il 2015 ha praticamente dimezzato la produzione passando dai 5 milioni e mezzo di bottiglie del 1970 ai poco più di 3 milioni attuali. Meno forte la crisi del Dolcetto D’Alba passata dai circa 8 milioni di bottiglie ai poco più di 7 milioni del 2015. In flessione anche il Dolcetto di Diano d’Alba passato dal milione e 200 mila bottiglie a meno di un milione con il Barbera D’Alba che inizia a far registrare il primo calo. Sono circa 11 milioni e 800 mila le bottiglie oggi messe in commercio di Barbera d’Alba a fronte degli oltre 12 milioni di qualche anno fa. D’altra parte la Barbera, dal 1970 ad oggi, ha visto letteralmente visto sparire migliaia di ettari di vite ad essa votati. Nel 1970 erano 81.215 gli ettari coltivati a Dolcetto. Oggi sono 20.524. 

Anche i terreni destinati al Dolcetto si sono più che dimezzati. Sono 6.128 gli ettari coltivati con questo vitigno a fronte dei 14.961 del 1970. Sull’orlo dell’oblio la Freisa. Vitigno un tempo molto diffuso proprio tra Langhe e Monferrato. Dei 7.410 ettari che ricopriva nel 1970 gliene sono rimasti soltanto 1.041.

 

Parola d’ordine: valorizzazione della biodiversità

Petrini si era subito detto contrario alla Doc Piemonte Nebbiolo. Probabilmente non esulterà neanche per quella del Monferrato. La consapevolezza che fermare l’ascesa del Nebbiolo sia difficile e che, comunque sia, la sua diffusione fa per molti versi bene all’enologia piemontese, per il patron di Slow Food resta una strada percorribile: valorizzare il patrimonio storico a patto che a farlo siano proprio i produttori di Langhe del Nebbiolo.

Il Dolcetto, ricorda, dà grandi vini. E’ un vitigno “che ha bisogno di collocazione ottimale, richiede fatica e assicura pochi guadagni”. Pensiamo ad esempio alla qualità del Dolcetto Dogliani Papà Celso Marzio Abbona e il Bricco Botti Pecchenino

La crisi è tutta italiana però, afferma ancora Petrini. In Italia era quello che è oggi il Nebbiolo, ma all’estero il suo mercato è ancora florido. Eppure, ammonisce “gli opinion leaders del mondo enologico non spendono un grammo d’inchiostro per parlare”. Il suo appello? Che il successo delle Langhe Nebbiolo e magari quello della Doc Monferrato che sarà, salvi quel che resta del Dolcetto. “Dall’associazione con i territori del nebbiolo – dice – può venire un vantaggio a chi comunica la qualità del Dolcetto, a patto che le produzioni storiche siano valorizzate”. Insomma: al di là dei mercati e le opportunità si ricordi sempre di valorizzare la biodiversità.

 

Crediti fotografici: seconda e terza foto Flickr – CC. Foto di Loredana e Heinrich-Böll-Stiftung