Sulle colonne di Wine Spectator la "rivoluzione" auspicata da Princic e Felluga: dare al Collio la Docg e far sì che sia prodotto con i soli vini del territorio. La sua storia ha impedito, ad oggi, di dare al Collio un'identità precisa che ora ha bisogno di affermare

La storia, si sa, è memoria. Ma la memoria deve rimanere nella sfera di ciò che era per far sì che il passato che esso custodisce trovi nuovi innesti nell’evolvere del tempo. Arriva un momento in cui si deve diventare…”grandi”! Ed è proprio quello che vuole fare il Collio, o meglio i suoi produttori. Due dei suoi produttori di punta, Robert Princic e Roberto Felluga, ne hanno parlato su Wine Spectator sollevando il problema di un vino “di confine” che proprio per la sua storia non riesce e trovare la giusta collocazione!

 

Il Collio vuole diventare “Grande”: il bisogno di una terra di confine di affermare la propria identità

 

collio vigneti

Ph: le colline del Collio – manuel.comis Flickr (uso e modifiche consentite)

 

Tanta varietà, una produzione d’eccellenza e decisamente unica. Quella del Collio nordorientale è una delle storie di un territorio dove i cosidetti “orange wine” sono sinonimo di territorialità. Se la Ribolla Gialla è di questi “la spina dorsale” come ben sottolinea l’articolo di Wine Spectator, lungo questa terra di confine vinificano vitigni internazionali che qui hanno trovato terreno fertile per una produzione capace di dargli una forte identità. Parliamo, oltre che della Ribolla Gialla, del Sauvignon Blanc, dello Chardonnay, del Pinot Grigio e, ovviamente, del Friulano.

Non solo. Sebbene siano i bianchi i suoi punti di forza, la sua produzione di rossi va dal Cabernet Sauvignon al Merlot passando per il Cabernet Franc e un dolce bianco che ne identifica le carateristiche: il Picolit. Qual è il problema? Proprio questo: la tanta varietà e i vari stili di viticoltura che, ad oggi, ne hanno impedito una definizione precisa.

“Un casino”, come lo definisce Robert Princic che nasce dal fatto che in questa terra di confine alla grande varietà si lega una storia frastagliata. “Per migliaia di anni il vino è stato prodotto qui, tra il Golfo di Trieste e le Alpi”. Il terreno favorevole, la cosiddetta “poca”, aggiunge, fanno del Collio il bianco più identitario del territorio. Ma questa identità non è mai stata realmente affermata. Le ragioni, come detto, sono tutte nella storia. Per secoli, prima della fine della Prima Guerra Mondiale, infatti, il Collio, insieme a gran parte della regione friulana, faceva parte dell’Impero austriaco. Ancora oggi, è bene ricordarlo, gran parte della popolazione parla il dialetto sloveno. E’ ancora prima, nel XIX secolo, che il conte francese Theodor de La Tour portò qui il Sauvignon Blanc e altre viti francesi in quella Villa Russiz che oggi è il regno di Livio Felluga.

Poi ci fu l’annessione italiana e da allora la viticoltura di quel territorio è divenuta a tutti gli effetti parte del grande patrimonio enologico del Bel Paese.

 

Il Collio vuole diventare “Grande” e compiere una vera e propria rivoluzione in nome del Friulano e l’autoctonicità

 

Collio uva bianca generico

 

Una storia di invasioni, liberazioni e annessioni tipica di un territorio che segna un confine non solo ideale, ma fisico, con il resto d’Europa. Una storia che, nel tempo, ha “liberato” anche la viticoltura. Ma tale libertà ha alla fine generato una sorta di caos dove l’eccellenza della produzione non è riuscita ad incanalarsi in un percorso capace di distinguerne valore e valori. Se è vero che qui i cambiamenti sono parte della storia allora è tempo di far sì che ne arrivi uno “rivoluzionario”. Questa è l’intenzione dei 100 produttori di questa piccola Doc che conta 3.400 ettari vitati a Pinot Grigio, Savignon Blanc e Friulano, ma che nelle sue bottiglie e nelle miscele di “Collio Bianco” di varietà ne accetta 11.

E’ ora di fare ordine e di dare territorialità e identità alla produzione di questa terra di confine che stringe in un abbraccio Italia e Slovenia. “Il 2017 è l’inizio di un nuovo viaggio difficile e rivoluzionario“, afferma infatti Princic sulle colonne di Wine Spectator. E’ ora, per il Collio di diventare “Grande”. La denominazione, infatti, sta chiedendo di passare al riconoscimento Docg già a partire dal raccolto 2018. Un appello che i produttori fanno all’Europa affinché il Friulano, “ricco di frutta”, sottoline Felluga, “diventi punto di riferimento” delle miscele di Collio. Ecco perché gli associati chiedono il riconoscimento di una nuova categoria di vini: una Collio Grande Selezione bianco prodotta soltanto con uve locali.

 

La proposta e l’obiettivo

Le combinazioni di Grande Selezione dovrebbero dunque contenere Friualno per il 50-70%, equlibrato da Ribolla Gialla ad alta acidità e/o Malvasia aromatica a patto che entrambi i vitigni ne siano parte per non più del 30%. Le prime bottiglie uscirebbero quindi nel mercato entro i due anni successivi. Non solo. Ma identità è anche nel packaging di un progetto così tanto identitario e con un fine decisamente rivoluzionario. Tutti i vini, infatti, sarebbero imbottigliati nella bottiglia progettata dal viticoltore Edi Keber. Bottiglia, tra l’altro già utilizzata da molti produttori di Collio e che ha una forma che si potrebbe definire “angolare”.

Lo scopo? Far sì che il cambiamento contagi a poco a poco tutti i produttori così da spingerli a modificare le loro piantagioni puntando sull’autoctonicità e lasciando così, ai futuri vignaioli, un patrimonio identitario da custodire e valorizzare.

“Il cambiamento del mondo del vino è progressivo”, afferma Princip. “Una volta che piantate un vigneto, ci vorranno quattro anni per produrre uve, ma 20 per produrre grandi vini”.

E il Pinot Grigio? D’altra parte è questo il vino del territorio più importato e amato soprattutto dagli americani. Quello non si tocca. Anche perché, sottolinea Felluga, quello di questa terra di confine “è diverso dal resto del mondo. E’ stato piantato qui 200 anni fa”. Ecco perché di fronte ad un suo indiscutibile dominio, il territorio ha bisogno di inserirsi attraverso un processo identitario. “Con le nuove etichette del Collio Grande e Superiore – sottolinea – le bottiglie godranno di maggiore notorietà” e avranno finalmetne quella classificazione che, fino ad oggi, gli è stata in qualche modo negata.

Una “rivoluzione” che ci sentiamo di sostenere anche perché promossa da chi di un così grande cambiamento non beneficerebbe tanto quanto i giovani produttori. I grandi, così come vogliono far diventare il loro Collio, si sono dimostrati leader e la loro volontà di offrire un valore aggiunto a questo tratto d’Italia tanto conteso, non può che essere apprezzata.

 

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