Nell’immaginario rappresenta la popolarità, l’oggetto che più di ogni altro racconta il nostro vino: il fiasco. Popolarità dunque non nel senso di notorietà, ma in quello, decisamente più vicino all’etimologia, di oggetto comune. Al suo interno, però, si mescolano bucoliticità, fatica e tradizione. Se vi si chiedesse di raccontare la prima immagine che vi si imprime nella mente sentendo pronunciare l’asserzione “fiasco di vino” cosa direste? Ognuno lo collocherebbe probabilmente in un luogo diverso. C’è chi se lo immagina come il momento di goliardia in un’osteria catapultata in uno scenario simile a quello del Marchese del Grillo. Chi a quello più immaginifico di un Ciccio Ingrassia in Amarcord (pieno di Lambrusco). 

Qualcun altro lo immagina in una tavola contadina un po’ datata con il padrone di casa che, tornato dal lavorar le terre, si concede finalmente il vino delle sue vigne. Ovunque lo si collochi, il fiasco, regala un senso di calore. Di familiarità e di popolarità. Eppure, la sua storia, che da qualche anno è stata riscoperta grazie a viticoltori innamorati di questo oggetto e arte, è completamente diversa. Il fiasco è un oggetto nobile. Così nobile da essere oggi un oggetto di culto. 

 

Fiasco? Sì, ma oggi solo se in versione status symbol.

fiasco di Clet

E’ stata presentata pochi giorni fa la nuova versione artistica del fiasco Ruffino. Un’azienda che, di fiaschi se ne intende eccome. A realizzarla Andy, artista oggi molto quotato che fu con Morgan fondatore dei Blu Vertigo. Una versione molto fluo sua a quanto pare. La seconda per l’azienda che nel 2012 lanciò quella realizzata dall’artista Clet (nella foto). Un omaggio, quello, a quanto di femminile ha questo oggetti. E di femminile, ha davvero molto. 

“Una goccia di vetro avvolta in similpaglia”. Con questa immagine poetica Giovanni Bartolozzi, presidente delle Vetreria Etrusca di Montelupo Fiorentino definì questo oggetto alla presentazione della versione artistica di Clet. Una definizione che ci piace perché quella goccia è in grado di raccontare, da sola, una storia ricca di fascino così come quella della terrà che la generò: la Toscana. Ascesa, caduta e riscoperta di un oggetto identitario. 

 

Fiasco: l’incertezza sulla sua origine e la certezza del suo successo. 

Fiasco museo del vino

E’ strano come sia sempre l’arte di arrangiarsi a produrre le migliori idee. Forse aveva ragione Einstein quando diceva che la crisi aguzza l’ingegno. E’ un po’ così che il fiasco toscano è nato. E non era proprio come lo vediamo oggi. Secondo alcune teorie la sua forma iniziale, quando il collo era ancora largo, era venuta fuori sbagliando una soffiatura del vetro. Quando ciò accadeva, il vetro verde che di origine è addirittura etrusca, veniva gonfiato a dismisura prendendo quella forma a boccia che conosciamo.

All’epoca però, le prime testimonianze sono del 1275 a San Gimignano, non era esattamente come nella versione moderna. Il collo era molto più largo, ma la sua forma ispirò probabilmente un contadino. Uno di quelli che, il vino, lo trasportava. Gli venne l’idea di rivestirlo con un’erba palustre, nota come sala o stiancia. La utilizzò per ricoprire orizzontalmente la boccia fino all’orlo. Un modo per tenere il vino ad una temperatura costane e facilitare il trasporto evitando che il vetro andasse in frantumi. 

E’ iniziata così la storia di questo oggetto contenente “vino vermiglio”, cioè Chianti, che ha affascinato artisti e poeti

 

Fiasco: contraffazione. La storia ha molto da insegnare.

Furono gli eccessivi costi di produzione, soprattutto per il rivestimento, e la poca manegevolezza a decretare l’abbandono di questo oggetto. Ma dalla sua storia c’è molto da imparare. Se pensate che la contraffazione del vino sia un fenomeno dovuto alla globalizzazione vi sbagliate di grosso! Più o meno nello stesso periodo, con la nascita della Doc del Gallo Nero, si iniziò a cercare di fermare il fenomeno. E il fiasco stesso ne ha passate non poche. Lo avreste mai detto che l’oggetto che si è in grado di immaginare solo dentro un’osteria, era invece a centro di fenomeni di imitazioni fraudolente?

Fu nel 1.574 che per il fiasco si decise una misura obbligatoria. Sulla paglia andava apposto un marchio di piombo. Il cosiddetto Segno Pubblico. Si pensava potesse garantire la capienza del recipiente, ma non era difficile togliere la bottiglia vecchia e metterne dentro una nuova con vino scadente. Un mercato così cospicuo quello “nero” del fiasco, che costò non poche frustate nella pubblica piazza ai suoi falsificatori. Il ricavo, però, era così alto che questi preferivano lasciarsi frustare piuttosto che abbandonare il loro business. Ecco perché alla fine, il marchio a caldo, il Lume di lucerna, si decise di apporlo direttamente sul vetro

Doveva rappresentare il giglio di Firenze. Contemporaneamente il fiasco continuò a modificarsi prima nel rivestimento poi nella forma. E questa storia ha un carico di fascino femminile non indifferente.

 

Fiasco: senza le donne non avrebbe mai varcato i confini nazionali.

Fiasco fiascaie

Proprio così. Divenuto ormai l’oggetto per eccellenza per il trasporto e il commercio del vino il fiasco doveva necessariamente essere prodotto in numero crescente. E, possibilmente, anche sviluppando modalità di preparazione dello stesso che lo rendessero ancor più sicuro durante il trasporto. Furono le donne a rendere internazionale il fiasco. Le fasce da orizzontali diventarono verticali e la base fu rinforzata con una “ciambella” di paglia. 

A prepararli erano le “fiascaie(nella foto in un’immagine storica dell’azienda Rigatti) . Un mestiere eroico decisamente. Rivestire un fiasco costa molta fatica, richiede precisione e, di conseguenza, tempo. Siamo nel XVIII secolo e sono le ragazze e le mamme di famiglia a intraprendere questa professione. Oggi la definiremmo così. Due volte la settimana, con i loro baroncini, i loro carri insomma, lasciavano le campagne e si recavano in città per fare il carico di bocce di vetro e stianca. Tornate a casa ne preparavano, lavorando anche di notte, fino a 50 al giorno. 

Le nuove modalità e la grande manualità di queste donne rese i fiaschi così sicuri che si iniziò a portarli oltre confine. Era il 1890: il chianti Ruffino, contenuto nel suo fiasco, si aggiudica la Medaglia d’Oro a Bordeaux. Il Duca d’Aosta se ne innamora così tanto che nasce la Riserva Ducale. E da lì…via verso gli Stati Uniti d’America.

Solo tre anni prima il fiasco si era guadagnato la definizione dell’Accademia della Crusca: “un vaso di vesto, rotondo e corpacciuto, senza piede con una copertura di erba palustre che cinge il corpo e a più di questo forma la base”. 

 

Fiasco: l’ultima trasformazione e poi…l’oblio.

Fiasco - Firenze. Il carro matto

Avevamo detto all’inizio come questo contenitore del vino si rivestisse di nobiltà. Il termine era letterale. A cosa può spingere l’amore…a tutto! E’ così che si dice. E se ciò che si ama è il vino provate ad immaginare il dolore nel veder arrivare parte delle proprie bottiglie…vuote! Fu proprio un nobile, nei primi del ‘900 a dare la forma definitiva al fiasco. Toscanelli. Così si chiamava. Il vino se lo faceva portare da Siena a Roma, ma spesso il tappo non reggeva.

Fu così che l’ingegnoso nobile politico cambiò il collo della bottiglia. Lo fece restringere così che il sughero aderisse bene. Il rivestimento, neanche fosse una rivoluzione sessantottina in stile minigonna, si ridusse a sufficienza da garantire al collo la libertà e alla pancia la sopravvivenza. Ecco la prima e definitiva versione della famosa “Toscanella”. Ma fu la contraffazione del vino a decretarne l’oblio. C’era una legge, negli anni ’30, che proibiva l’esportazione dei fiaschi per evitare si riempissero di vino scadente.

Niente da fare. Il fenomeno fu inarrestabile e il fiasco finì per essere considerata la bottiglia del vino cattivo, quello da osteria. Buono solo per ubriacarsi. Da nobile a reietto il passo fu breve. Forse troppo. Ci sono voluti gli americani di Constellation Brand. E’ grazie a loro che Ruffino ha ripreso la limitata produzione, artistica, dei fiaschi da collezione o regalo. Pochi ma eccellenti. Non solo. I russi, di quelli della Cantina dei Vini tipici dell’Aretino, si sono innamorati. 200 mila i pezzi che acquistano ogni anno.

 

Fiasco: il suo valore artistico lo conoscevano già i grandi artisti del Rinascimento.

fiasco Ghirlandaio

Quello di Ruffino è stato un ritorno. Un ritorno all’amore inscindibile che lega il fiasco, il vino…e l’arte! E che arte! Boccaccio nel suo Decamerone cita infinite volte il fiasco contenete il “vino vermiglio”. Lenoardo Da Vinci e Michelangelo lo elogiano spesso nei loro carteggi con quest’ultimo che scrive: “avrei avuto più caro due fiaschi di vermiglio che otto camicie”. Lorenzo il Maginifico se ne faceva spedire in gran quantità dalla madre Lucrezia

Galileo Galilei, che fu anche enologo, scriveva: “guarda quei fiaschi innanzi che tu bea…son pieni di sì eccellente vino!”. E se proprio dobbiamo guardarli allora lasciamo cadere il nostro occhio sul “Banchetto per Nastagio degli Onesti” del Botticelli o su “La nascita di Giovanni Battista” del Ghirlandaio (nella foto).

La nobiltà non è solo un titolo, la nobiltà è nell’animo e il fiasco, di nobiltà, ne ha da vendere. Persino se lasciato rovescio sul tavolo di un’osteria. 

Fare fiasco è un vero successo stravolgendo il senso di quest’affermazione. Un’affermazione che, ancora una volta, fa il paio con l’arte. Arriva dritta dalla commedia dell’Arte e più precisamente da un Arlecchino che declamò un monologo con un fiasco in mano. Non fece ridere nessuno. Eppure mai un insuccesso fu un così grande…successo!

 

 

Crediti fotografici: copertina Alessandro Scarcella