Mai fare di tutta l’erba un fascio. Soprattutto quando si vuole conquistare il cuore, facciamo il palato passando per il calice, di una generazione sì, ma che vive nei più svariati posti del pianeta. Che ai giovani, i cosiddetti Millennials che non sono altro che coloro nati tra gli anni ’80 e il 2000, il vino piace. Questa è una certezza così come che, numericamente, sono la generazione più numerosa. Ma non è detto che per fare amare il proprio vino ad un giovane americano si debba adottare il marketing che si adotta in Italia e così via. I fattori sociali sono determinanti e così scopriamo che nei tre mercati dove il nostro vino va per la maggiore, cioè casa nostra, gli Stati Uniti e il Giappone, i Millennials sono decisamente diversi. E con loro l’orientamento nella scelta del vino.

A scattare la fotografia per cui “ci sono Millennials…e Millennials” è stata Episteme, società specializzata nello studio dei fenomeni sociali e di consumo, per conto di Pasqua Vigneti Cantine, storica realtà della Valpolicella che mette insieme 300 ettari di vigento per un fatturato di 48.3 milioni di euro, una quota di export del 90% su 53 mercati di tutto il mondo (dati 2016).

Ma quindi quali sono le differenze tra un giovane enoappassionato italiano, uno americano e uno giapponese? Non sono, di certo, gli occhi a mandorla e il cibo fast-food!

 

Consumo del vino: le cose che abbiamo in comune…

 

consumo del vino millennials

 

…sono 4850, cantava qualche anno fa Daniele Silvestri! Nono sono così tante, ma partiamo da queste e, ancor prima, dai numeri generali. I Millenials americano sono 80 milioni, gli italiani 11 e i giapponesi 21,8. Vi diciamo subito che in uno di questi tre mercati le donne sono determinanti.

Ma iniziamo dal principio. I giovani nati tra gli anni ’80 e il 2000 sono tutti digitali. Non tutti nativi digitali, ma certamente tutti sempre connessi. La prima cosa che fanno i Millennials di tutti e tre i Paesi è cercare un contatto diretto con i produttori. Sì, il girarci intorno non piace. Si va dritti al punto, o meglio al calice. Ecco perché nella scelta delle bottiglie sono attenti alle certificazioni e alla territorialità. Cosa, questa, che è diventata negli anni decisamente una certezza.

Quando si parla di sostenibilità si parla di Millennials. Se tutti si convertono non è solo questione di consapevolezza (anche quella per fortuna), ma anche di mercati. Sostenibilità è una delle parole chiave nella scelta del vino da degustare per chi appartiene a questa generazione. Ecco perché se un brand si fa conoscere per attività legate alla responabilità sociale e la coltivazione biologica, allora le sue probabilità di entrare nelle preferenze dei Millennials aumentano a dismisura.

Non solo. Coinvolgerli è la seconda regola d’oro. E’ finita l’epoca del vino come semplice accompagamento di un pasto. I millennials vogiono degustare un’esperienza e, soprattutto, vogliono esserne co-protagonisti. Insomma: diamogli importanza e coinvolgiamoli durante le nostre attività in cantina e nel corso degli eventi. E’ il modo migliore per “brandizzarli“.

Le similitudini finiscono qui!

 

Consumo del vino: Paese che vai…Millennials che trovi…

 

consumo del vino giapponesi millennials

 

La matematica non è un’opinione si suol dire. Anche la geografia a dire il vero seppure la Terra si muova continuamente. Certo è che posti lontanissimi creano culture diversissime e condizioni sociali che possono essere anche agli antipodi. Un po’ come dire che ognuno fa i conti con la realtà di casa sua. E per il vino non è diverso. Almeno se guardiamo alla questione in termini di consumi e scelte di chi, il vino, poi lo consuma.

Ad esempio gli Usa. Paese contraddittorio lo è da sempre e proprio le sue mille sfumature ne fanno il grande Paese che è. Quello dove tutto può succedere. E qui succede che i “tradizionalisti” sono la maggioranza: quelli che vivono la vita in modo lineare, sono sicuri ma non soddisfatti. Beh di poco tradizionale c’è ad esempio il fatto che è proprio qui che le donne, nel vino, hanno ribaltato ogni stereotipo. Sono soprattutto loro ad influire con i loro acquisti nel settore! Qui un consumatore su due è una pulzella e la tendenza conferma quanto accade sì negli acquisti, ma anche nei settori professionali a cominciare dai sommelier.

Poi ci sono i self-branded. Qui il primato lo abbiamo noi, anche se gli americani ci seguono a ruota. Parliamo dei giovani che puntano sulle loro competenze e su quello costruiscono la loro professionalità. Nel mezzo, col Giappone, siamo anche gli “equilibristi”. Siamo nel minato campo dell’insicurezza. Quella che però i Millennials cercano di compensare combinando diversi percorsi professionali.

Ve lo dobbiamo dire che con gli Stati Uniti siamo anche quelli con il maggior numero di “messi in pausa”? Chi sono? I millennials che cercando di rimandare il più possibile la propria autonomia. Quelli del “ma dove la trovo una come la mamma!”. Infine ci sono i social worker che impazzano, anche loro, tra Italia e Stati Uniti. Parliamo di coloro che prestano particolare attenzione alle ricadute sociali del proprio lavoro.

 

In che modo queste realtà si intersecano col mondo del vino?

Ve lo spieghiamo. Anzi lo spiega Monica Fabris, presidente di Episteme. “L’insicurezza verso il futuro, o piuttosto una situazione sociale più fluida, incidono in modo determinante sullo stile di consumo del vino. In particolare in Italia il vino per i Millennials è un modo per appropriarsi della “adultità“”. Insomma. Visto che i giovani italiani si muovono nella precarietà tra momenti di equilibrio e di povertà, spendere qualche soldo in più per bere buon vino è un modo per sentirsi meno inguaiati dalla loro condizione esistenziale.

E che sia un’attività in cui investono conoscenza per compensare la difficoltà di vedersi riconoscere i meriti, lo dimostra il fatto che, in quanto a vino, “sono ambasciatori di un consumo intelligente”, bevono nazionale e ancor più locale.

I giovani americani sono invece l’emblema del benessere. Loro, più di ogni altro, sono “alla ricerca di un work-life balance, considerano il vino un’espressione culturale, un alimento sano e moderno”, afferma Fabris. E il Giappone? Qui si eredita il culto della qualità, “ma vivono cono poco per cui devono scegliere attraverso il rapporto qualità prezzo. Il vino è al centro di progetti educativi sul bere di qualità e moderatamente rispetto, ad esempio, ai superalcolici”:

Insomma i Millennials sono diversi e sono diverse le loro esigenze. Ma i punti in comune sono quelli su costruire le basi di mercato, prestando sempre attenzione a quelle differenze “geografiche” e soprattutto sociali che rendono i giovani enoappassionati così diversi nella scelta di fronte ad un qualunque scaffale (reale o virtuale) di buon vino!