Opinioni discordanti tra i produttori italiani. Per quelli inglesi è una grande opportunità

Brexit. A pochi giorni dal voto inglese e la conseguente uscita dall’Europa, il solo pronunciare la parola Brexit sembra far apparire nella propria mente un trailer. Quello del film horror dell’anno. Almeno stando alla tanta preoccupazione espressa dalle associazioni di categoria. In primis quelle che ruotano intorno al vino. Ma non per tutti è così. Di certo non lo è per i produttori inglesi che Forbes è andata a intervistare. Sembra non esserlo neanche per alcuni produttori italiani. E non parliamo solo di quelli che esportano di più su altri mercati.

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Le informazioni arrivano in continuazione. E’ quasi un bombardamento. Proviamo a fare un po’ il punto mettendo insieme quanto emerso fino ad oggi e cercando di capire se, davvero, i rischi sono così grandi. Partiamo dal principio e cioè dai numeri. Lo ha ricordato il Gambero Rosso: il Regno Unito per l’Italia rappresenta il terzo mercato di sbocco al mondo. Nel 2015, e parliamo del solo vino, il Bel Paese ha incassato dall’Uk 745 milioni di euro. E stando ai dati del primo trimestre del 2016 forniti dall’Osservatorio del Vino siamo già cresciuto del 7% con un export complessivo di 152 milioni di euro.

A tremare di più, già da prima del sì alla Brexit, erano stati i produttori di Prosecco. O meglio la Coldiretti che, per loro, aveva lanciato un allarme finito persino sulle colonne del The Indipendent. Le bollicine italiane, infatti, hanno guadagnato in un solo anno, e cioè dal 2014 al 2015 il 48% in più degli inglesi superando addirittura lo strapotere dello champagne. Un sorpasso dovuto proprio al prezzo, non propriamente basso, ma certamente più di una bottiglia di bollicine francesi con in più la garanzia di un prodotto di alta qualità. Sull’Indipendent a fare il punto è stato Rowan Gormeley, l’amministratore delegato di Majestic, il più grande rivenditore di vino del Regno Unito che ha apertamente dichiarato che con la perdita di valore della sterlina (circa del 30%) sarà inevitabile il lievitare dei prezzi.

Eppure non tutti sono così negativi al riguardo. In primis, ovviamente, i produttori inglesi. Stando alle dichiarazioni rilasciate a Forbes da alcuni di loro, quello che potrebbe essere un vero e proprio ostacolo  all’export dell’Unione, è per loro invece una grande opportunità. Andrew Webber della cantin Appledore del Kent ci crede. “Il governo guarda finalmente alle nostre esigenze. La nostra industria ha sviluppato pratiche commerciali sane senza il supporto di sussidi o convenzioni comunitarie”. Non molto diversa la posizione di Tamara Roberts, Ceo di Redigeview Wine Estates nel Sussex. Lei però, oltre a credere nel potenziale sviluppo del vino locale, crede anche che per lo chamapagne e il prosecco nulla cambierà. Troppo apprezzati, afferma, e radicati per essere accantonati.

Brexit

L’unica voce positiva dall’Italia sembra venire da Innocente Nardi, presidente del Consorzio Tutela del Vino Prosecco Conegliano Valdobbiene Dogc. Al quotidiano britannico ha dichiarato di non temere il confronto. “L’accisa – afferma – è già molto elevata, più di 3,5 euro a bottiglia. Dubito che la sterlina, anche con la Brexit, possa indebolirsi nei confronti dell’euro”.

Leggendo articoli della stampa nazionale ed estera si ha una strana sensazione. Nessuno ha ben chiaro cosa accadrà. Da cosa lo deduciamo? Dalle parole di un altro presidente, quello del Consorzio Tutela del Prosecco Doc Stefano Zanette. Si tratta del Consorzio con il più grande mercato per le esportazioni in Gran Bretagna. Per lui quello della Brexit sarà un problema sebbene, ammetta, ci voglia ancora tempo per valutarne le conseguenze.

Qualcun altro a casa nostra però le conseguenze sembra già averle valutate. E se è vero che l’Uiv aveva parlato sin da subito di un grosso problema non apocalittico a leggere solo i dati qualcosa di apocalittico sembrerebbe poter accadere. Lo ha detto Federvini e lo ha detto la Confcooperative.

Ben 185 milioni dei 727 milioni che l’associazione ha calcolato l’Italia perderà in termini di export con la Gran Bretagna riguardano il vino prodotto dalle piccole e medie imprese. Complessivamente, infatti, “l’Ue perde circa 7mila cooperatvie in Inghilterra. Ciò vuol dire 17,5 milioni di soci per un valore di 34 milioni di sterline”. Facile capire quanto peso può avere il mondo del vino. 

Cosa succederà? Difficile in realtà a dirsi. Forse l’allarmismo è anche troppo. Se l’economia inglese dovesse reggere nessun suddito di sua maestà si toglierebbe lo sfizio di comprare una bottiglia di prosecco per qualche euro in più. Ma il rischio c’è. Molto faranno i 54 accordi commerciali che nei prossimi due anni Londra e Bruxelles dovranno redigere. Quelli che tra dazi e Iva una batosta ce la potrebbero dare davvero.

I tempi sono ancora molto lunghi per poter lanciare allarmi o tranquillizzare gli animi. Due anni non sono pochi per decidere cosa fare. Vale anche la pena confidare nel perfetto british style. Quello per cui un whiskey non è tale se non ha la “e” scozzese. Così come una bollicina se non arriva da Francia o Italia. 

 

Crediti fotografici: Elena Zamprogno – Flickr CC