Finirà al cinema la storia di Hardy: l'uomo che riuscì a far credere di possedere il vino di Jefferson. Le grandi truffe del vino sono tante. A volte con risvolti drammatici. A volte tragicomici.

Se c’è una piaga che fa male ai mercati è certamente quella della falsificazione: il vino contraffatto non fa eccezione. Nel mondo, secondo le ultime stime data 2016, è costata, la contraffazione in questo settore 530 milioni di euro con una perdita di posti di lavoro quantificabili in 4 mila 800 unità. Numeri davvero pazzeschi. Basti pensare al destino del nostro Prosecco. Le bollicine italiane che stanno riscrivendo la storia del nostro vino, sono tra le più imitate. I danni sono evidenti. Per farvi fronte pene più severe sono state previste anche nel Testo Unico del Vino. Sì perché quando parliamo di contraffazione potremmo trovarci di fronte ad almeno due fenomeni: quello di chi spaccia per vino di qualità con tanto di etichetta per certificarlo e in bottiglia ha messo tutt’altro e chi, invece, viola i regolamenti direttamente nella produzione.

Esiste però una terza tipologia di contraffazione. Quella che, seppur estremamente dannosa, in un certo senso ci affascina. Quando pensiamo ai falsari il nostro immaginario ci spinge a proiettarci una scena ambientata più in una gioielleria che in una cantina o in uno studio con la strumentazione necessaria per imitare un ottimo vino. Ma se parliamo di bottiglie vendute ad esempio ad 85 mila euro, ci si rende conto come, anche una sola bottiglia, sia un fondo un diamante di grandissimo valore.

La buona notizia, si fa per dire, è che i più imitati sono i vini francesi. Lo insegna anche la storia delle grandi truffe. Alcune così ricche di spunti da aver conquistato il cuore di registi e produttori.  Eh sì. Perché parliamo di falsi d’autore così ben riusciti da aver tratto in inganno persino quelli che, nel nostro immaginario e nonostante la parola della scienza, restiamo convinti sarebbero in grado di distinguere una goccia di rugiada in un vino di montagna.

 

Vino contraffatto: ai francesi spetta il primato. Parola di ispettore enoico-forense.

Vino contraffatto marueen downey

Segnatevi bene questi nomi. Château Petrus, Domaine de la Romanée-Conti, Château Lafite Rothschild, Château Mouton Rothschild, Château d’Yquem, Château Lafleur, Domaine Comtes George de Vogüé, Domaine Henri Jayer, Château Haut Brion e Château Cheval Blanc. Segnateveli perché alcuni sono quelli che hanno segnato la rocambolesca storia dei più grandi falsari del mondo.

E non poteva essere altrimenti. Sono queste le 10 etichette più contraffatte al mondo. Lo ha decretato la specialista “enoico-forense” Maureen Downey (nella foto). Il suo naso, quello da sommelier, lo ha trasformato in un vero e proprio strumento da Csi. E’ lei quella che ha smascherato i truffatori di vino più abili al mondo. Il dato davvero allarmante è che, stando a quanto affermato dalla Sherlock Holmes del vino “almeno il 20% di tutto il vino del mondo è contraffatto”. Il mercato in cui si riesce a venderlo meglio? Quello asiatico. Quello, cioè, che ci affanniamo tanto a conquistare con la qualità.

Sfortunatamente – ha affermato la wine writer Jeannie Cho Lee – i compratori nei mercati emergneti non sono esperti in tema di cosa fare per tutelarsi quando si parla di autenticazione del vino. Di conseguenza sono un bersaglio primario per chi crea falsi e per chi li commercia. Si stima – ha aggiunto – che all’incirca metà di tutti i vini di lusso in Cina siano contraffatti”. Quindi solo chi poco ne sa può essere ingannato? Beh, la storia, in realtà, ci insegna tutt’altro. Ecco perché al di là della gravità di un problema che va combattuto e arrestato, ci sono alcune storie che affascinano. Sono quelle di chi, il vino contraffatto, lo ha venduto a chi, solo a guardarlo, avrebbe dovuto almeno insospettirsi.

 

Vino contraffatto: se il vino di Thomas Jefferson è stato etichettato e imbottigliato nel laboratorio di un enoappassionato.

vino contraffatto bottiglie pregiate

Ecco la prima delle storie che hanno letteralmente sconvolto il mondo del vino. Quella che presto sarà sul grande schermo con protagonista, secondo rumors piuttosto attendibili, l‘attore premio Oscar Matthew McConaughey e che già da anni è un libro di Benjamin Wallas: Billionaie’s Vinegar. Vi ricordate? Vi abbiamo detto di segnarvi i nomi delle 10 etichette più contraffatte al mondo. Ora se vi trovaste, da profani, ad osservare o ancor più assaporare uno Chateau Lafite (notate bene, con una sola t) potreste non accorgervi di eventuali contraffazioni. Non fosse altro perché un vino così è raro finisca nel calice di un semplice amante del buon bere.

Ma se siete un collezionista, uno di quelli che delle etichette conosce vita, morte e miracoli, farsi ingannare davanti ad uno Chateau Lafitte (con due t per una ragione) è già grave. Se poi a confermare l’autenticità ci si mette pure chi è del mestiere si capisce bene come due siano le possibilità: o si finge di sapere o il falsario è stato così abile da ingannare anche i più competenti. Almeno fino al punto di riuscirsi a godere per un lungo periodo una vita da nababbo.

 

Il produttore musicale che le “suono” al collezionista miliardario

Potrebbe essere questo il titolo di questa storia. Eh sì perché Hardy Rodenstock era un produttore musicale tedesco. Non doveva avere grandi doti nel campo visto che, alla fine, si specializzò in un settore totalmente differente. Quale? Falsificare vini praticamente introvabili riuscendo a piazzarli a prezzi da capogiro. E’ lui, probabilmente, il più grande falsario di vini che la storia ci abbia consegnato. Uno di quelli che, se avesse utilizzato le sue capacità non solo manuali, ma anche psicologiche, per promuoverlo il vino, sarebbe forse oggi uno degli uomini di marketing più desiderato dalle aziende vitivinicole di tutto il mondo.

Solo uno che ci sa fare può vendere una falsa bottiglia di Chateau Lafitte (di nuovo con due t) Bordeaux del 1787. Una bottiglia appartenente niente poco di meno che al presidente firmatario della dichiarazione d’indipendenza nonché grande cultore di vino come molti altri presidenti Usa, Thomas Jefferson.

Ad acquistare la prima, nel 1985 ad un’asta di Christie’s, uno dei proprietari della prestigiosa rivista Forbes. Dopo di lui anche i proprietari della celebre rivista Wine Spectator acquistarono una delle sue bottiglie. Ma ad avere la peggio fu il collezionista multimiliardario americano Bill Koch. Lui, di quello stock di vini che Hardy raccontava di aver trovato trent’anni prima mentre alcuni operai sistemavano un’antica casa di Parigi, ne comprò quattro. Vi state chiedendo il perché di quella doppia “t”? Perché sulle etichette dell’epoca la doppia “t” c’era ancora. Quanto ha speso? 156 mila dollari. Più o meno 146 mila euro.

 

L’inganno così perfetto da mettere in trappola anche il naso più fine

Qualcuno quelle bottiglie le autenticò. Chi? L’autorevole responsabile sezione vini de Christie’s Michael Broadbent. Fece analizzare le etichette, fece analizzare il vestro e assaggiò alcuni campioni delle bottiglie di Lafitte, Branne Mouton (anche questa chiedeva all’epoca la doppia “n”), Margaux e d’Yquem messe in vendita da Hardy. La conclusione. “perfetto. In ogni senso: bouquet, colore e gusto”. Quelle bottiglie erano del 18esimo secolo e certamente dell’epoca in cui Thomas Jefferson curava la sua cantina. Le credenziali poi erano note. Ad una verticale di D’Yquem, Hardy, era riuscito ad ingannare persino alcuni dei più noti degustatori del mondo. Parliamo di Robert Parker, Jancis Robinson, Michael Broadbent, Michel Bettane.

Anche a loro rifilò false bottiglie d’annata e tutti se ne andarono più che contenti. 

Dato che però di tutta la storia fantasiosa ed affascinante raccontata da Hardy riguardo le bottiglie di Jefferson non vi era traccia, l’unica certezza l’aveva data proprio Broadbent. In effetti non fece un figurone. Non era suo complice, ovviamente. Ma persino lui non si accorse del vino contraffatto e degli errori in etichetta.

 

La scoperta, la caccia a l’uomo e il processo. Quando una storia merita di finire al cinema

Il vuoto che girava intorno alla storia di Hardy, però, insospettì alla fine Koch che si rivolse direttamente alla Fondazione Thomas Jefferson. Il responso fu di quelli da far trasecolare anche l’uomo più ricco del mondo: tutte false! Nessuna delle quattro bottiglie acquistate era autentica. Nella sua ingenuità Koch ci ha anche provato a telefonare ad Hardy, ma inutilmente. Per trovarlo e processarlo c’è voluta l’FBI. 

Vorremmo dirvi che tutto questo Hardy lo ha fatto per smascherare qualcosa. O magari per rubare ai ricchi per dare ai poveri. La verità è che la bella vita piaceva anche a lui e un personaggio così non poteva non finire nel mirino di una casa di produzione cinematografica. La storia del “The Billionaire’s Vinegar” la produrrà infatti la Sony insieme alla Overbrook Netertainment cui fa capo niente poco di meno che Will Smith. Siamo certi che ne verrà fuori un ottimo film. Magari…d’annata!

 

Vino contraffatto: il ricco che truffò i ricchi solo per essere accettato

vino contraffatto laboratorio rudy kurniawan

Se Hardy finirà dritto al cinema, il collezionista ed esperto di vino Rudy Kurniawan sul piccolo c’è già finito. Così come in carcere. Dieci anni la pena che dovrà scontare per aver venduto per almeno otto anni false bottiglie per milioni di dollari. E la sua, forse, è la storia più affascinante. Il 37enne di origini indonesiane e di origini tutt’altro che modeste, infatti, voleva solo “essere accettato”. Accettato in un mondo d’élite. Non solo ci è riuscito, ma ci è riuscito facendosi beffe dei più importanti collezionisti al mondo. Se ve lo state chiedendo sì, Koch è tra questi.

Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un ero e proprio genio della truffa. Di milioni di euro, lui, ne ha spesi 16 tra il 2006 e il 2011. Denari frutto delle sue truffe milionarie. Volendoci ridere su potremmo dire che questo ragazzo ha incarnato il sogno americano. Arrivato dall’Indonesia a 16 anni con un visto studio ha messo su una vera e propria impresa…della contraffazione! Le foto del suo laboratorio (nella foto) lasciano senza parole. Faceva tutto da solo. E questo rende la sua figura ancor più affascinante. Raccoglieva timbri, false etichette e bottiglie. Lo faceva quasi per divertirsi perché a lui soldi comunque non ne mancavano.

 

Truffatore e affabulatore

Da bravo truffatore a quanto pare era anche un ottimo assaggiatore. L’arte dell’affabulazione concentrata in un uomo solo. Così bravo da riuscire a vendere bottiglie di Clos St. Denis del 1945 e del 1959. Peccato che il vino iniziò la produzione nel 1982. Diciamo che in fondo se l’è spassata. Certo ora dovrà, per il suo vino contraffatto, risarcire i truffati con 28,4 milioni di dollari, ma immaginate che shock sarebbe scoprire che magari è nullatente!

Certo è che il suo fascino ha conquistato subito il piccolo schermo. La sua storia e quella del suo vino contraffatto finirà in pellicola nel docu-film di Jerry Rothwell Sour Grapes. E visto che alla fine sempre di marketing si tratta, Larent Ponsot, proprietario dell’omonima azienda vitivinicola le cui bottiglie sono annoverate tra quelle spacciate da Kurniawan, ha messo a disposizione la sua cantina per le riprese. Insomma. Non tutti i mali vengono per nuocere.

 

Vino contraffatto: i danni, spesso gravissimi, al di là dell’indiscutibile fascino dei grandi truffatori

vino contraffatto benoit violier

I danni della contraffazione, in generale, sono enormi per la filiera vitivinicola. Questo se parliamo, ovviamente, del fenomeno in larga scala. Dai posti di lavoro ai ricavi. Tutto ci va a perdere. Nel caso dei grandi truffatori il danno maggiore è per il mercato e le tasche dei multimilionari. Eh sì. Contraffare bottiglie di altissimo livello vuol dire spostare l’asset dell’intero mercato vinicolo.

Un esempio? Per colpa delle truffe di Kurniawan alcune bottiglie di Romanée-Conti del 1945 vendute quando la sua attività stava per essere scoperta, furono battute all’asta per 124 mila dollari. Circa 116 mila euro a fronte dei 2.400 del valore effettivo.

Ma mettere in commercio vino contraffatto, a volte, può portare a conseguenze anche peggiori. Soprattutto quando ad investire in una truffa è chi, in quell’investimento, ha messo praticamente tutto. E’ il caso dello chef francese tristellato Benoit Violer (nella foto) morto suicida non molto tempo fa. L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è proprio questa: l’uomo avrebbe acquistato per almeno 400 mila euro bottiglie di vino pregiatissimo che poi si sono rivelate non essere tali. A spingerlo all’estremo gesto, insomma, la certezza di non riuscire poi a coprire le spese. Sarà così? Non lo sappiamo, ma quel che è certo è che il fascino di un grande truffatore si ferma là dove il truffato è qualcuno che, alla fine, ci ha si e no rimesso “qualche spiccio”.