Vino chilometrico. Mentre in Uk la Aldi’s lancia sul mercato il vino in formato birra, il Lidl lancia una provocazione che, in realtà, è un’ennesima operazione di marketing a dimensione discount. A dare la notizia, almeno in Italia è stato Il Giornale con un articolo di Andrea Cuomo. Ma, in realtà, a far sapere di questa ennesima iniziativa è stato l’inglesissimo Times con un articolo di Deirde Hipwell. In sintesi, quello che la catena tedesca sta facendo, è immettere sul mercato vini di qualità inferiore presi dai territori limitrofi alla zona di vendita. Un modo per abbattere ulteriormente il prezzo e spingere all’acquisto. Una politica che, con la perenne crisi delle famiglie italiane, potrebbe rendere bene. Penalizzerà i grandi mercati? Possibile. Ma con l’Italia è tutto più complicato.

Quel che è certo è che il prezzo varietà a seconda della distanza del territorio d’appartenenza della singola bottiglia. 

 

 

vino chilometrico - il giornale.it

 

Sarà il chilometro 10 o il chilometro 20 la strada per coniugare qualità e prezzo nella vendita del vino in particolare nella grande distribuzione? La provocazione la lancia niente di meno che il Times, che nell’edizione di ieri a pagina 3 (addirittura) propone un articolo di Deirdre Hipwell dal titolo: «Il vino di Lidl sfida le aspettative dell’uva».

Intrigante ma criptico. Il contenuto però spiega la strategia del colosso tedesco dei discount: rifornirsi di vino non nei territori «cult» ma in quelli limitrofi. Qualità un po’ più bassa ma prezzi molto più accessibili. Il gioco sembra valga la candela.

«Se sei un wine lover che ha bramato qualcuna delle più rinomate etichette francesi ma è sempre stato trattenuto dal prezzo, ora un supermercato economico afferma di aver trovato una soluzione: comprare una bottiglia dal vignaiolo in fondo alla strada», si legge nell’articolo. I geniacci di Lidl sono infatti convinti che «le bottiglie più economiche le cui uve sono state coltivate a poche miglia di distanza dalle cantine top sono buone quasi quanto quelle, senza però spennare i consumatori».

Ecco così che i negozi britannici della catena tedesca hanno riempito i propri scaffali scaffale di 42 bottiglie a prezzi ottimi, almeno sulla carta (geografica): ad esempio un Merlot di Château Roque la Mayne venduto a 8,99 sterline alla bottiglia e che arriva dalle Côtes de Bordeaux, a 16 km dall’area di Pomerol, un luogo leggendario che produce bottiglie che raramente costano meno di 100 sterline. Mentre un Reuilly Domaine dui Chêne Vert promette di dare per sole 8,99 sterline quasi le stesse sensazioni gusto-olfattive di un blasonato Sancerre della Valle della Loira.

È una strada praticabile anche in Italia? Non impossibile ma certo difficile. Anche a causa del diverso sistema di qualità che vige da noi rispetto alla Francia. In Italia infatti il prezzo del vino è il frutto di una serie di fattori che si combinano tra di loro: denominazione, blasone, tecniche produttive, mercato, mode. In Francia tutto è più rigido: oltre un secolo fa è stato creato un sistema di suddivisione qualitativo di fatto mai più toccato i cui livelli più alti (Premier Cru, Premier Cru Classé, Premier Grand Cru Classé rispettivamente nelle zone di Bordeaux, Sauternes e Saint-Emilion) godono di una sorta di rendita di posizione che si concretizza in prezzi altissimi.

Ecco perché a distanza di pochi chilometri in Francia i prezzi di due vini possono essere anche dieci volte inferiori a fronte di differenze date più dalla fama che dalla qualità. Da noi quindi la Lidl (e anche gli altri discount) perseguono una strategia diversa: vendere vini blasonati di produttori poco noti e spesso «misteriosi» a prezzi che sono all’incirca la metà dell’entry level della tipologia (un Barolo a 9,90, un Amarone a 13,90). I critici che si sono presi la briga di assaggiarli hanno riscontrato qualità organolettiche piuttosto modeste. Quindi l’approccio democratico al grande vino ha i suoi limiti: alla fine chi vuole bere davvero bene deve rassegnarsi a tirar fuori il portafogli.

 

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