Indici quasi al massimo storico dall'ottobre 2011. La Cina torna protagonista. I rischi non mancano, ma il settore è fiorente. Paura del crack? I numeri e i fattori socio-economici suggeriscono il contrario

Ma quando parliamo di benessere la domanda se faccia bene o male dobbiamo porcela anche di fronte ai vini di pregio? Beh se si ragiona in termini di salute fisica il dibattito è aperto da sempre sebbene un po’ come per le mele si è d’accordo sul fatto che un bicchiere al giorno toglie il medico di torno. Ma se si ragiona in termini finanziari allora non c’è che dire: negli ultimi 24 mesi “bere” vino è stata una vera e propria botta di salute! 

Lo conferma Bloomberg che specifica: non è per tutti, non è un investimento a breve termine e la volatilità è un fattore determinante. Quel che è certo è che i prezzi del vino pregiato sono ai loro massimo dall’ottobre 2011. La Brexit? per ora un toccasana. La prova? La Cina è tornata sul mercato. 

 

Vini di pregio: indici quasi al massimo storico. E la Brexit aiuta

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“Le condizioni macroeconomiche favorevoli, un’offerta limitata e una forte domanda continueranno a far crescere il mercato”. Questo il parere di Chris Smith, gestore del Wine Investment Fund di Londra. Era dall’ottobre 2011 che non si vedevano picchi così in tema di investimento sul vino. Vero è che, toccati quei vertici vi fu una discesa più drastica di quanto si immaginasse. Discesa che vide uscire fuori dal mercato proprio la Cina che ora, invece, torna a far sentire la sua presenza. Nei primi sei mesi del 2016 in Cina l’import è infatti salito del 21% per un valore di 1,66 miliardi di dollari.

E’ bene ricordare che stiamo parlando riferendoci in particolari ai vini pregiati il cui fondo ha offerto un ritorno del 17% nel 2016 se parliamo in termini globali. Un ritorno pari a 248 milioni di sterline, circa 290 mila euro. La Brexit, soprattutto per gli investitori d’oltreoceano, si è fin qui rivelata una manna piuttosto che un dramma. Gli indici sono infatti denominati nella valuta britannica. La sua svalutazione ha reso più facili gli acquisti oltreoceano e, di conseguenza, i risultati negli investimenti. Il Liv-ex 100 Benchmark Index Belle vino ha definito, negli ultimi 14 mesi una crescita continua: la più lunga dal giugno 2010 restituendo il 25% in più dell’anno scorso. Battendo, tra l’altro, una delle più grandi aziende della Borsa londinese: Ftse 100 index che ha comunque chiuso in positivo con un 19% in più. 

 

I casi più eclatanti

Un altro esempio? Quello della Ltd, società londinese che costruisce singoli”portafogli del vino” per gli investitori. Le 263 mia sterline del 2015 sono letteralmente lievitate: un aumento di commercio che ha portato il commercio ad un valore di 662 mila sterline nel quarto trimestre del 2016. Se parliamo di Cina dobbiamo registrare il successo del Wine Source Group di Philippe Kalmbach. Gruppo che acquista i vini dei produttori più importanti al mondo e li distribuisce in ristoranti ed alberghi. Il fondo attrae investitori grazie ad un servizio che offre anche prenotazioni su jet privati e yacht, sommelier su richiesta per la cena e last-minute a più di 500 ristoranti tra i migliori al mondo.

 

Vini di pregio: per investire ci vogliono fondi e nessuna fretta

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Quando parliamo di investimenti nel vino è il caso di fare qualche riflessione. E’ vero che si parla di un mercato, ma di un mercato che ha a che fare con un prodotto fisico. Non si tratta di azioni che salgono e scendono. La volatilità dipende da molteplici fattori, la fisicità prima di tutto. Ciò implica un ritardo funzionale. Ispezione, consegna, stoccaggio e tutto ciò che concerne il poter definire un vino, come nel caso specifico, di pregio. Investire nel vino, insomma, non è esattamente come berne un buon bicchiere. I rischi sono molteplici. I fondi spesso sono di piccole dimensioni. Cosa che può determinare problemi di liquidità.

Come ha giustamente sottolineato Charles Boulton, U.K. market head of HSBC Holdings Plc’s private-bank unit, “l’orizzonte temporale per i ritorni adeguati su questi investimenti è relativamente lungo e ciò può dare volatilità agli asset”

Per garantire maggiore sicurezza qualcuno ha pensato bene di creare dei portafogli di investimento creati su misura per il singolo cliente. Pacchetto in cui vengono inclusi rischi, requisiti di liquidità e orizzonte di investimento. E’ il caso di Cult Vini di Tom Gearing che per la sua società ha scelto un approccio in stile private bank. La longevità è uno dei fattori che, spiega, rende il vino un buon investimento. Lui, che punta sui vini di Borgogna, spiega: “nei prossimi 10-15 anni la gente potrebbe ancora consumare questi vini che godono di longevità. A questi si potrebbero aggiungere i vini toscani o quelli del Nuovo Mondo, quali ad esempio quelli della Napa Valley. I primi, tra l’altro, hanno un ottimo rapporto qualità prezzo. Il potenziale a lungo termine, se ragioniamo per valore, è molto forte”.

 

Vini di pregio: dopo il boom si rischia il crack?

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Appurato che investire nel vino, se fatto con criterio, è un grande affare resta un dubbio. L’exploit del 2009 che vide la Cina spadroneggiare durò fino a metà 2011 quando ci fu la caduta. Sono 24 mesi che il vino, in termini finanziari, vola. Soprattutto se parliamo di vini di pregio. Ma è l’intero comparto a fare bene. Ci si deve aspettare un tracollo e comportarsi di conseguenza? Difficile a dirsi, ma sulla prestigiosa rivista The Drink Business abbiamo trovato una riflessione che crediamo sia il caso di condividere.

L’idea di fondo è semplice: non si può fare un paragone. Il mercato, negli ultimi anni, è cambiato. Così come e soprattutto è cambiato l’assetto socio-economico e politico. Per comprendere cosa è accaduto e come le cose sono cambiate basta un numero. Nel 2016 sono stati negoziati 4.396 vini diversi. Il 27% in più rispetto al 2015 e ben il 167% in più rispetto al 2010.

 

Più si diversifica più cresce la fiducia

Se andiamo a quadrare le individualità stupirà come l’aumento maggiore lo abbiano avuto proprio i vini italiani indicati con la voce “Italy” da Liv-ex. L’incremento, dal 2010 al 2016, è stato del 534%: il 40% in più ogni anno. Seguono i vini di Borgogna con un aumento complessivo del 378%.  Terzo posto per lo champagne con il suo 371% in più. Il rischio è gestito dalla diversificazione. Più diversificazione c’è, insomma, più il rischio diminuisce. Più produttori, più vini, più mercato, più solidità e maggiore fiducia. Immaginando quello del vino come un mini mercato azionario, sebbene con quella peculiarità della fisicità, il venir meno della sua polarizzazione vuol dire, ampio respiro.

Sebbene è immaginabile che una flessione ci sarà, è altrettanto plausibile pensare che ogni cambiamento avverrà in modo graduale e per questo gestibile e valutabile. Insomma: prevedere sarà più semplice. Non solo. Ma la probabilità che il mercato regga mantenendo standard elevati per gli investitori non è da escludere. I primi dati del 2017 sembrano dare plausibilità a questa tesi. Investire nell’enologia, e nei vini di pregio soprattutto, sembra davvero essere un buon investimento. Purché, e questo è il vero e unico punto fermo su cui tutti concordano, si sia esperti nel farlo. Insomma, improvvisare, un po’ come improvvisarsi vignaioli, sarebbe una follia. 

 

Crediti fotografici: foto copertina Flickr CC Richard West