Nessuna preoccupazione, ma tanta attenzione. Le estati sempre più torride e gli inverni sempre più rigidi portano ad azioni concrete in nome della qualità e la sostenibilità.

Prosegue il nostro viaggio nel mondo per capire come, i viticoltori affrontano il problema dei cambiamenti climatici: oggi facciamo tappa in Israele. Un interessante articolo, che ha dato voce proprio agli addetti ai lavori, è stato pubblicato nei giorni scorsi su Israeli21c e ci racconta, ancora una volta, come questo fenomeno sia globale e quanto importante sia affrontarlo insieme, seppur ognuno tenendo conto delle caratteristiche dei territori che abita.

Nonostante si tratti di un territorio abituato al caldo, anche da queste parti il climate change fa sentire i suoi effetti con estati sempre più calde e inverni sempre più brevi. Un ambiente particolare quello israeliano, dove la viticoltura è antica, ma anche quasi scomparsa per ben 400 anni sotto l’Impero Ottomano musulmano, tornando in auge grazie a coraggiosi viticoltori che dal passato hanno ripreso le fila di una coltivazione che ha fatto e sta tornando a fare la storia del Paese. Gli addetti ai lavori ne sono certi e proprio il passato per la viticoltura Israeliana è “il maestro” del domani!

 

Quella del vino, ad Israele, è una storia antica ‘risorta’ sotto l’egida dell’eccellenza

Ph: credit photo Wikimedia Commons

L’articolo si è concentrato in particolare sulle cantine che si trovano in Giudea, in un territorio vicino tanto a Gerusalemme quanto a Tel Aviv. Qui se ne trovano 50 delle 250 del territorio. E sempre qui è nata, per volontà del ministero del Turismo, una strada del vino che si snoda lungo le dolci colline di questo pezzo d’Israele. La storia, lo abbiamo detto, è antIca. La viticoltura da queste parti ha almeno 5mila anni e proprio di recente quattro aziende hanno trovato, non lontano dai loro moderni siti, resti di altri ben più antichi.

E’ di ottobre la notizia della scoperta di un sofisticato impianto di produzione di vino, il più grande del periodi bizantino mai trovato al mondo, e rinvenuto a Yavne. Una vera e propria fabbrica del vino che produceva il Gaza (o Ashkelon), il vino più diffuso della regione. Un vino che viaggiava per tutto il Mediterraneo. Un’ennesima prova di quanto antica fosse la produzione tanto che, nel sito, sono stati trovati cinque imponenti torchi, grandi piani per la pigiatura dell’uva, due enormi tini ottagonali, magazzini e forni per produrre i vasi in cui conservare il vino destinati a quello che oggi chiamiamo…export!

Un excursus dovuto per capire perché è il passato, da queste parti, il motore del futuro di una viticoltura che ha permesso ai vini kosher di raggiungere un’eccellente qualità che oggi vale loro popolarità e premi nazionali e internazionali.

Ad aiutare la produzione il microclima che arriva fino a Gerusalemme e i terreni calcarei delle colline dove maturano le viti. Eppure, come detto, anche qui i cambiamenti climatici iniziano a farsi sentire. Ecco come, dunque, ci si prepara, anzi già si affrontano le nuove sfide.

 

Combattere i cambiamenti climatici partendo dalla storia stessa del clima: ecco da dove riparte l’enologia nella terra di Israele!

Capire il clima di un territorio attraverso la sua storia? Perché no! E’ proprio da qui che parte l’attività dei produttori del vino di Israele anche grazie ad uno studio condotto dall’Università di Tel Aviv, del Tel-Hai College e dell’università francese di Montpellier che ha fornito una prima ricostruzione dettagliata del clima israeliano da 10mila a 20mila anni fa. Una ricerca il cui scopo e proprio quello di raccogliere quante più informazioni possibili, utili a preservare la varietà delle colture.

Il problema degli inverni più corti, ha quindi riferito Gideon White, direttore generale dell’azienda Clos de Gat, non permette alle viti di andare in letargo in inverno e questo fa diminuire la produzione. Secondo quanto da lui riferito i cambiamenti climatici, leggiamo sul giornale online, stanno danneggiando l’orologio biologico interno delle viti, ma questo non desta preoccupazione, semplicemente attenzione.

Un approccio che ci piace. Nessun allarmismo, solo la voglia di capire e intervenire. Un pragmatismo, legato ad una filosofia di vita, che ci sembra piuttosto interessante. I raccolti in alcuni casi sono diminuiti del 30% e come altri riferiscono, esattamente come sta accadendo in altre parti del mondo, Italia inclusa, le vendemmie si stanno anticipando.

Tra le misure adottate l’uso dell’irrigazione a goccia, che consente di monitorare la quantità di acqua di cui hanno bisogno le viti. Un approccio decisamente sostenibile…ma voi sapete cos’è? Beh nel caso la risposta fosse no, facciamo un breve approfondimento sul tema!

 

Rivoluzionari anche nell’irrigazione a goccia….

Ci siamo affidati a wikipedia scoprendo anche una particolarità parlando proprio di Israele. Anche noi non smettiamo mai di imparare! Quando si parla di irrigazione a goccia, a livello generale, si parla di “irrigazione localizzata” o, se preferite, di “microirrigazione”. Un metodo che permette di somministrare lentamente l’acqua alle piante irrigando sia la superficie di terreno vicino alla stessa, che al radice. Lo scopo è proprio quello di efficientare l’utilizzo dell’acqua risparmiandone insieme quanta più possibile. Insomma è un po’ come bere a piccoli sorsi assicurandosi di essere sempre idratati e dissetati. Il tutto grazie a valvole, condotte e diversi tipi di gocciolatori.

Ed ecco qua che, andando nel particolare, abbiamo scoperto che nel lontano 1959 è stato sperimentato un nuovo sistema di irrigazione a goccia proprio in Israele. Quella che è oggi una vera e propria nuova tecnologia. Ad introdurla fu Simcha Blass insieme a suo figlio Yeshayau e tutto iniziò quando un agricoltore fece notare ai due che un grosso albero cresceva dietro la sua proprietà “senza acqua”. Blass notò quindi che da un tubo arrivavano sul terreno delle piccole gocce che erano in grado di far prosperare la pianta. Di qui l’idea di creare un vero e proprio sistema attraverso tubi “di infiltrazione” più larghi che lunghi che per frizione grazie alla legge di Laplace (quella che indica l’effetto della tensione superficiale tra due corpi di natura diversa), aumentava la pressione dell’acqua alle pareti di un emissore in plastica porosa.

Se trovate complicata la cosa, restate sulle basi, e sappiate che il primo sistema Blass lo installò nel 1959 ad Israele brevettando il primo metodo pratico di gocciolatore per irrigazione a goccia superficiale che in breve tempo “espatriò”.

 

Gli addetti ai lavori accettano la sfida del climate change e nel passato trovano la chiave per guardare al futuro…tutto in nome della sostenibilità!

Passiamo alla parte pratica. E cioè a cosa i viticoltori hanno raccontato a Israeli21c. Il lato positivo, da queste parti, è che il microclima aiuta. Oltre a questo il fatto che, alle alte temperature sono abituati. L’aspetto negativo è che, come anticipato, le estati sempre più calde e gli inverni sempre più freddi hanno portato a vendemmie anticipate anche per evitare che si superi il già alto tasso alcolico cui il caldo eccessivo condanna (la soglia che si tenga di tenere è quella non superiore ai 14°).

Da queste parti poi, cosa ancor più importante, non c’è tanto spazio per l’hi-tech. La particolarità della viticoltura è che si coltiva come nell’antichità. Ecco perché gli addetti ai lavori si dedicano molto al cambiamento del modo in cui si potano le vite, così da permettere a più foglie di crescere e proteggere l’uva dai raggi del sole. Fortunatamente la freschezza delle ore notturne fa la sua parte. Tecniche antiche ma efficaci che, raccontano gli enologi della Bravdo Winery, hanno spinto molti produttori europei ad andare da loro per imparare metodi e tecniche (aggiungiamo sostenibili) per proteggere le loro produzioni. Come riferisce Hadar Bravdo, Cmo e brand manager della cantina, “qui in Israele abbiamo molta esperienza con molte sole e senza pioggia”.

 

Antico e moderno… un binomio vincente!

L’azienda, è questo che gli altri sono andati a cercare di imparare, utilizza infatti un metodo molto sofisticato per misurare la quantità di umidità contenuta in ogni foglie di vite. Grazie a questo sanno quando deve essere irrigata. Insomma tutto all’insegna del “risparmio” idrico, ma della garanzia di una produzione di qualità che sappia tutelare l’ambiente in cui viene svolta.

Altri produttori riferiscono come proprio il 2021 sia stato un anno difficile tanto che alcuni raccolti sono stati del 60% rispetto alla resa normale, seppur di grandissima qualità. Preoccupazione però per la riduzione di produzione c’è. Per far questo, ha riferito Zory Arkin, Ceo ed enologo della Bravdo, si punta sulle giuste varietà di uva: quelle cioè più tolleranti agli inverni caldi e che permettono di ritardare il più possibile la potatura. Tra queste l’uva Shiraz.

 

In una terra ‘calda’ come Israele quello del raffreddamento del vino per garantire la fermentazione è un problema, ma una soluzione c’è sempre!

Altro problema per i posti dove fa caldo: il raffreddamento! Per capire cosa si fa per garantirlo in modo da consentire al vino di fermentare a dovere, ci spostiamo alla Kadma Winery. Una cantina che 12 anni fa ha messo insieme moderno e antico, utilizzando sistemi attuali per conservare il vino in grandi botti di argilla…un tocco di vera antichità!

Metodo pensato proprio per tutelare l’ambiente grazie anche a pannelli solari che garantiscono l’elettricità necessaria al raffreddamento nella stanza in cui il vino fermenta. Una stanza che ha una parete sul lato sud così da proteggerla dall’arrivo diretto della luce del sole. Va da sé che tutto serve per far funzionare l’aria condizionata, ma con il minor uso possibile di elettricità.

E sempre in termini di energia rinnovabile c’è anche chi come Daniel Yaniv, medico di giorno e viticoltore per il resto del tempo nella sua Bin Nun Winery, irriga le sue vite con un sistema computerizzato ad energia solare.

Paese che vai…tecniche che trovi, ma l’obiettivo è lo stesso per tutti: contrastare i cambiamenti climatici proteggendo il pianeta!

 

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