Trecento anni e non sentirli. Un percorso nella storia del brand del vino italiano più amato al mondo

Chianti. “Pane di Prato, vin di Pomino, potta lucchese e cinci fiorentino”. I proverbi non solo solo espressioni di saggezza. A volte, in due virgole e poche parole c’è la storia di un intero territorio. Il Chianti compie 300 anni. Ma dire che questo vino, quello che spinse addirittura Michelangelo Buonarroti e Niccolò Macchiavelli a dedicarsi alla sua coltivazione con Giuseppe Verdi intento a sorseggiarlo, li senta non è proprio il caso. Al massimo, potremmo dire, che il suo invecchiamento, nel tempo, ne ha fatto il vino più conosciuto al mondo. Più di Champagne e Bordeuax: parola dell’enologo e giornalista americano Burton Anderson.

Chianti: la caccia al tesoro artistica per festeggiare i suoi 300 anni

Chianti The Art of the Treasure Hunt in Chianti Classico

Se ne è parlato tanto nelle scorse settimane. Per celebrare i suoi 300 anni, sette aziende del Chianti (Fèlsina, Castello di Ama, Castello di Brolio, Colle Bereto, Gagliole, Borgo San Felice e Castello di Volpaia), hanno organizzato, sotto la guida di Kasia Redzisz curatrice della Tate di Liverpool, l’Art of Treasure Hunt. Una caccia al tesoro artistico che andrà avanti fino ad ottobre. Una vera e propria opera di mecenatismo che, ancora una volta, sancisce la felice unione tra vino e arte. Opere d’arte “nascoste” nelle cantine pronte a stupire i visitatori. Questo è ciò che accadrà nelle sette aziende. Tutte riconosciute da Wine Spectator come tra le migliori con punteggi che vanno da 90 a 98 su 100. 

Ma forse se i più sanno che soprattutto in Toscana il mecenatismo, nel mondo del vino, ebbe un impatto pazzesco su tutto quello che sarebbe stato il futuro della regione. Insomma, bisogna tornare molti indietro per capire perché quel “gallo nero” oggi simbolo del Consorzio di Tutela, non ha mai smesso di far squillare la sua ugola.  

 

Chianti: la Docg ante-literam che anticipò il ruolo dei Consorzi.

chianti - bando Cosimo III de' Medici

 

Partiamo dall’anno di cui si celebra il trecentesimo. Era i 1716 quando il Granduca Cosimo III De’ Medici promulgò il bando che, di fatto, costituì la prima Docg della storia. Una Docg dove ritroviamo proprio quel Pomino, il vino del proverbio, a dimostrazione di quanto, le vigne e le cantine, abbiano influito nella storia di questa regione. Non che fu un gran regno quello di Cosimo III, ma in campo agroalimentare il Granduca le idee le aveva chiare.

Che fosse, come vuole la vulgata, per questione di “decoro” o come intente più la storiografia, per paura di perdite di fette di mercato, quel che è certo è che Cosimo III fu il primo a sancire l’imprescindibile corrispondenza fra una denominazione e il suo territorio di produzione.

Era il 24 settembre quando la Docg ante-litteram vide la luce. “Sopra la Dichiarazione de’ confini delle quattro regioni Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno Superiore”. Così s’intitolava. Non solo. E’ vero che il disciplinare arriverà soltanto nel 1924, quando 33 produttori decideranno di mettere in piedi il Consorzio per la difesa del Chianti. Ma Cosimo De’ Medici non solo anticipò quella Docg ufficialmente riconosciuta solo nel 1984, ma persino l’attività del Consorzio, in qualche modo già esisteva.

Si riuniva però sotto le Congregazioni, così come da decreto, ed erano addette proprio alla vigilanza sulla produzione. Erano le Congregazioni, già dal 1716 a controllare che le norme di produzione fossero rispettate così come previsto dalla denominazione. E la vita non era certo facile in cantina. La fiscalità, già dall’anno Mille, era un grosso problema. La qualità andava pagata in base alle valutazioni del catasto. Insomma, sono cambiati i metodi, ma in fondo, i problemi sono sempre gli stessi!

 

Chianti: perché già nel 1716 tanta tutela per soli quattro territori?

chianti territorio

Normale chiederselo in una terra dove le vigne si perdono a vista d’occhio. Prima lo abbiamo accennato. Alla base c’era una questione di “dignità” o, magari, piuttosto di buona economia. Quel che è certo è che Cosimo III i territori li definì benissimo così come definì benissimo quelli che andavano protetti: Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno Superiore. La realtà? l’export. Difficile pensare che in Toscana nel 1700 lo chiamassero così, ma quella era la sostanza.

Erano questi quattro vini quelli abilitati alla navigazione. Cioè quelli che potevano partire per terre lontane a bordo delle navi. Il rispetto di norme di produzione precise semplificava le cose: era il passaggio necessario per espletare controlli ed evitare che il vino fosse adulterato durante la navigazione. Per lui, Cosimo, un passo necessario per garantire il “decoro della Nazione”. Non si poteva di certo andare a perdere la faccia nelle più grandi corti europee servendo un Chianti…che non era un Chianti!

Segno di grande integrità non c’è dubbio, se così fosse. Ci piace continuarlo a pensare, ma la realtà, probabilmente era un tantino diversa: uno scandalo avrebbe messo in ginocchio uno dei prodotti trainanti dell’economia Toscana. Non è incredibile come, anche oggi, con il problema della contraffazione, sia proprio questa la regione che subisce spesso i danni maggiori? Erano quelli i vini migliori erano quelli che andavano tutelati!

 

Chianti: lo sapevate che prima era bianco?

chianti vino bianco

Ebbene sì. Sono gli Etruschi a portare il vino in questo territorio. Le prime testimonianze risalgono al VI secolo a.C.. E’ nel 790 d.C. che, su una pergamena, si trova per la prima volta la parola Chianti. Ed è in alcuni documenti del 913 a.C., rinvenuti nella chiesa di Santa Cristiana a Lucignano, che si inizia a parlare della sua vinificazione.

Sappiamo per certo che il Chianti era un vino bianco e neanche di grandissima qualità. Ma sappiamo anche che alcune delle famiglie che già all’epoca ne coltivavano le uve sono le stesse che nei secoli ne hanno fatto l’eccellenza che oggi conosciamo. Due nomi su tutti: Ricasoli e Antonori

Che il commercio del vino già ai tempi era una grande fonte di ricchezza lo dimostra la fondazione a Firenze, dell’Arte dei Vinattieri. La più importante delle Arti Minori. Era la metà del ‘200. Fu in quel tempo che si iniziarono a diffondere osterie e vinarie portando quel che era considerato un bene dei nobili, il vino, fin negli strati più poveri della popolazione.

E’ solo nel 1427 che il Chianti diventa rosso. Sulla sua qualità, però, si lavorava già molto tempo prima. Furono Giovanni Durante e Ruberto di Guido Bernardi ad imporre la particolare vinificazione che ne cambiò lentamente i connotati. Al vino andavano aggiunte uva passa per eliminare le impurità, albume d’uovo, mandoerle e sale per chiarificarlo, pepe e petali di rosa per regalargli un bel colore. 

 

Chianti: prima e dopo Cosimo III questo vino si era guadagnato prestigio e tutela.

Chianti Classico

Sì. E’ vero. I 300 anni li si festeggia in riferimento a Cosimo III De’ Medici. Ma che il vino prodotto nelle terre di Chianti avesse qualcosa di speciale e che per questo andava tutelato, lo avevano capito anche prima.

Fu la Lega del Chianti nel 1444 ad imporre la vendemmia a non prima del 29 settembre. Perché? Perché si potessero controllare e punire, con pene severissime, coloro che, questo vino, tentavano di contraffarlo. Arrivò quindi il bando di Cosimo e le sue Congregazioni. Seguì, nel 1753, l’Accaemia dei Georgofili che iniziò a sperimentare la mescolanza dei vitigni per ottenere le uve migliori prima di arrivare alla vinificazione.

E fu proprio un Ricasoli, Bettino, in pieno ‘800, a decidere la separazione di raspi e vinacci, la fermentazione in vasi chiusi e una svinatura rapida seguita dal “governo all’uso toscano”. Frase che, ancora oggi, troviamo in etichetta. Era per la precisione il 1834 e così doveva essere il Chianti: 70% di Sangioveto (cioè Sangiovese), 15% di Canaiolo, 15% di Malvasia. E’ lui il padre del Chianti moderno.

Nel 1874 si definì dunque l’uvaggio così come arrivò nel disciplinare del 1984 con il Consorzio nato già nel 1924. Nel 1878 si affermò all’Expo (oggi lo chiamiamo così) di Parigi. Nel 1932 si aggiunge la parola “Classico” sancendone la definitiva distinzione con quello prodotto al di fuori del territorio della Docg autonoma che sarà espletata nel 1996

Nel 2010 il decreto legislativo che impedisce la produzione di Chianti al di fuori del confine “Classico”. Nel 2013 le modifiche al disciplinare e nel 2016 l’ultimo tassello: il vino Chianti non si imbottiglia in altro luogo che non sia la Toscana. 

 

Chianti: il Gallo Nero tra leggenda e realtà storica!

chianti gallo nero

 

Ci vuole sempre una leggenda. Il Chianti, con una storia lunga, complessa e profondamente significativa, non poteva non avere la sua. Ed è quella del Gallo Nero. Quel gallo che, ancora oggi, è il simbolo di questa Docg. Il simbolo era già della Lega del Chianti e dietro la sua scelta c’è una storia di rivalità territoriale. 

Siamo sempre nel Medioevo epoca di storie e cantastorie. E la sfida era quella che ancor oggi resta: tra Firenze e Siena. Al centro del duello: la regione del Chianti. Dove apporre il confine?  Facile. Perché duellare se si può cantare! Fu così che, dice la leggenda, si sarebbe apposto il confine laddove il rispettivo gallo avrebbe cantato per primo.

Ecco che allora da Firenze il cavaliere partì con un gallo nero messo, come diremmo oggi, a stecchetto. Da Siena l’avversario se ne portò dietro uno bianco rimpinzandolo di cibo. Ma ai galli non si può chiedere riconoscenza. Ecco perché, alle luci dell’alba, affamato, fu il gallo nero a cantare. La regione del Chianti era ormai fiorentina con buona pace dei senesi

E che il Gallo Nero fosse il simbolo del Chianti lo ha voluto ricordare persino il Vasari che proprio a Firenze, città vincitrice dello strano duello, lo dipinse sul soffitto del salone di Palazzo Vecchio. 

 

Chianti: la Grande Guerra e il ritorno alla Guerra!

chianti dopoguerra

Si è rischiato di perderlo un patrimonio così ricco di storia. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale tutto era cambiato. La terra non sembrava più essere fonte di lavoro e di ricchezza, ma solo di fatica e povertà. Inizia così un lento abbandono delle vigne e di una storia secolare che, sembrava, potesse tramontare. Ma c’è un gallo a vegliare sulle terre del Chianti e se è vero che fu il suo canto a determinarne la storia, non poteva non cantare quando quella stessa terra aveva bisogno del suo aiuto.

Fu proprio il vino a riportare, negli anni ’70, la gente tra le campagne di quel pezzo di Toscana. Con esigenze sociali nuovi e bisogni diversi. La vocazione, da mera produttrice, si è fatta turistica ed oggi le terre del Chianti richiamano gente da tutto il mondo pronta a sorseggiare un bicchiere di quel vino che dentro un calice custodisce l’essenza di storie, leggende, miti e menti che di questa terra e del suo vino hanno fatto un marchio riconosciuto e indelebile.

Un’ultima cosa. Se ve lo siete chiesti il verso del gallo si definisce chicchiriare!

 

Crediti fotografici: Foto esterna Vinfeld Flickr CC.

Dalla terza foto fino in fondo:

Kristopher Calson – Flickr CC.  

Edoardo Forneris – Flickr CC

Helen White – Flickr CC.

Antonio Cinotti – Flickr CC

Eduard Diaz – Flickr CC.