A Buy Wine si è fatto il punto: i Consorzi fatturano circa 1 milione di euro. Il Gallo Nero canta come non faceva da anni, ma su "Toscana rosso", Brexit e Trump le opinioni divergono

Il Gallo Nero, emblema del vino toscano, torna a chicchiricare come non faceva da anni e i Consorzi dei vini regionali sono un traino imprescindibile per l’enologia italiana. Lo sono anche di fronte ad una leggera flessione. Ma quando si parla di effetto Trump, effetto Brexit e, soprattutto, della possibilità di un unico marchio le opinioni divergono e il dibattito si accende. Firenze, in questi giorni, è la patria del vino. Del suo. Le Anteprime sono in corso e si concluderanno il 18 febbraio. Il Chianti Lovers, unico appuntamento aperto anche agli enoappassionati oltre che a giornalisti e operatori del settore, ha visto la presenza alla Fortezza del Bassi di Firenze di oltre 3mila persone. 

Se da una parte il vino toscano si conferma come una colonna portante dell’intero sistema Italia, dall’altra si evidenziano le contraddizioni e il bisogno di un dialogo costruttivo che faccia respirare e non odorare di tappo le bottiglie di vino prodotte dalle piccole e medie imprese del territorio.

 

Vino Toscano: poche ombre sull’ottima annata 2016. La comunicazione elemento importante di un grande successo

vino toscano bicchiere chianti classico

 

Per i Consorzi fatturato da 1 milione di euro

I dati sono stati diffusi in occasione di Buy Wine nell’ambito de le Anteprime Toscane. I 16 Consorzi del vino Dop toscano sfiorano il miliardo di euro di fatturato. Una conferma di quanto affermato dall’Ismea: le indicazioni geografiche fanno la differenza. La Toscana ne è testimone ancor più se parliamo di export che, per i vini di questa regione, ha registrato nel 2016 una crescita del 2,05% portando ad un incasso di 586 milioni di euro

Sorpresa tra le sorprese sebbene i rossi siano l’ossatura e la sua grande forza sono stati i bianchi a determinare una crescita così importante. Ragion per cui l’Anteprima della Vernaccia di San Gimignano acquista ancora più valore. Vini cui si aggiunge il successo riscontrato in nuovi mercati, in particolare Asia e Portogallo, dove il loro approdo ha permesso di compensare l’arretramento dei rossi in quelli consolidati. 

Gli Stati Uniti restano il Paese di riferimento sebbene con una leggera flessione tra gennaio e settembre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2017. Sono stati 135,8 i milioni di euro che i rossi di toscana hanno fatto incassare a fronte dei 146,8 del 2015. Flessione registrata anche in altri Paesi. In particolare in Germania (da 63,7 a 58,1 milioni), in Canada (da 37,7 a 34,4 milioni) e in Cina (da 7,7 a 7,3 milioni di euro). In un balletto di cifre che lascia meno stupiti di fronte alla controtendenza di uno dei Paesi dei rossi per eccellenza: la Francia. Qui, i rossi toscani, hanno fatturato 8,3 milioni di euro: 800 mila euro in più rispetto al 2015. 

 

Il Gallo Nero torna a far sentire la sua voce e si “infiamma” nelle vesti di ideogramma

Se il vino toscano tiene bene e fa numeri positivi al di là della lieve flessione il Chianti Classico si schiarisce la voce e il Gallo Nero torna a farla sentire più nitida che mai. Certamente come non si sentiva da dieci anni. Il 2016 per la Doc “vecchia” 300 anni è stato un anno record: il migliore del decennio soprattutto dopo la forte crisi avuta nel 2009. Nell’anno conclusosi ha commercializzato 285.500 ettolitri di vino facendo crescere le vendite del 48,5% per un fatturato globale stimabile in oltre 700 milioni di euro e un valore della produzione in bottiglia di 400 milioni di euro

A conferma delle tendenze dell’export regionale anche il Gallo Nero canta bene soprattutto negli States dove finisce il 32% del prodotto commercializzato in 130 Paesi del mondo. Ma la vera buona notizia viene, finalmente, dal mercato interno dove il Chianti Classico pesa per il 22% del totale. L’ottimo stato di salute del pennuto centenario è nel tutto nel suo futuro. “Orientalmente” parlando sarà proprio l’anno del Gallo…in questo caso di Fuoco! Oltre al matrimonio stretto con il “Comitè Champagne”, infatti, il Chianti Classico si appresta ad entrare nel mercato cinese con una nuova veste fatta di ideogrammi e marchio “nostrano”. La parola Gallo Nero è stata infatti traslitterata e registrata e affiancherà la denominazione italiana Chianti Classico sulle bottiglie in commercio nel Paese orientale. 

 

Media e vino toscano: un matrimonio felice

Le aziende toscane sono quelle che più di molte altre hanno compreso l’importanza della comunicazione. Non si finisce sui media, ancor più se stranieri, per caso. Dietro c’è sempre un lavoro professionale. Ci sono i tour organizzati ad hoc per la stampa estera. Ci sono gli eventi promossi sul posto (non ultimo quello che vedrà protagonista proprio il Chianti a Cuba). C’è, in sostanza, una fitta rete di pensiero, organizzazione e azione che rende possibile la creazione di una forte identità. Il vino toscano grazie in primis alla qualità e in secundis proprio alla capacità di raccontarla tanta qualità, ha avuto sui media internazionali una presenza decisamente massiccia.

Il punto, alle Anteprime, lo ha fatto il massmediologo Klaus Davi. Se parliamo solo della grande stampa, ha spiegato, alle eccellenze toscane sono stati dedicati 1.115 articoli: il 31% negli Stati Uniti; il 25% in Germania: il 25% nel Regno Unito e persino il 5% in Francia. Nazione che non ha potuto evitare di dare uno spazio al vino d i questa regione.

Se andiamo a guardare i Consorzi a far meglio è stato il Brunello di Montalcino citato nel 30% dei casi. Segue il Chianti (21%) e il Nobile di Montepulciano (20%). Fanalino di cosa, se così si può dire, il Chianti Classico (16%). 

 

Vino Toscano: brand unico sì, ma sul marchio unico il dibattito è aperto

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Che il vino toscano in quanto tale costituisca un brand è un dato di fatto. Lo dimostrano i numeri, lo dimostrano le azioni e lo dimostra la storia. Ma in un’epoca in cui iniziano a nascere grandi Doc, non ultima quella Delle Venezie che ha fatto storcere non poco il naso ai piccoli produttori, questa visione “big” dell’enologia conquista alcuni e infastidisce altri. Il rischio cui si va incontro è sempre lo stesso: la sparizione dei piccoli. O quanto meno il loro totale offuscamento di fronte a colossi contro cui numericamente, non certo per qualità, sarebbe impossibile competere.

Un male non solo per chi dirige e lavora in aziende di tali dimensioni, ma per il sistema intero. Lo ha dichiarato anche l’Ismea: il 70% delle aziende enologiche italiane appartiene a queste due categorie. Rappresentano l’ossatura di un sistema che non deve essere cancellato. Vero è che c’è bisogno di un asset unitario che permetta la riconoscibilità del “vino italiano” e nello specifico toscano facendo salva l’identità dei singoli. D’altra parte il vino toscano è già un brand. Lavorare sul suo rafforzamento potrebbe mettere d’accordo tutti.

 

Con Anteprime Toscane il dibattito si è aperto sul brand “Toscana Rosso”

I dati dell’export del vino toscano sono il traino regionale per l’intero comparto agroalimentare. La filiera enologica in questa regione simbolo dell’enologia nazionale da lavoro a 25.000 persone. Uno dei pochi settori, tra l’altro, dove invece che scendere l’occupazione in 10 anni è aumentata del 5%. I numeri sono quelli di un prodotto che ha ancora molto da offrire. Ecco perché, per Piero Tantini ex ristoratore di successo in Italia e da diversi anni titolare della Godot Wines di Sidney creare un unico brand, il Toscana Rosso, per identificare il vino toscano in generale sarebbe il modo migliore per veicolare il mercato dell’export. 

Queste le sue parole: “quando esci dal brand Brunello e Chianti Classico, per il consumatore e il ristoratore è quasi tutto uguale. Farei un brand generico Toscana Rosso che si venderebbe molto più facilmente rispetto a denominazioni che per noi italiani sono di classe e nicchia come Montecucco o altre, alle quali però il cliente normale anglosassone non è interessato”. 

 

Il primo no arriva dalla presidente dell’Orcia Doc

L’idea però fa discutere e il primo “no” è arrivato da una delle produttrici più note della zona nonché esponente di spicco de Le Donne del Vino e presidente dell’Orcia Doc: Donatella Cinelli Colombini. “Le previsioni ci dicono che la generazione dei millennials americana ricerca il prodotto di qualità – ha dichiarato ad Are -. Vuole bere un vino legato ad una storia. Noi dobbiamo lavorare su questo perché le nostre piccole aziende possono offrire alta qualità. Lo ha dimostrato l’Orcia Doc arrivata ad imbottigliare un ottimo vino apprezzato in questi giorni (quelli dell’Anteprima Toscana) dai buyer”.

Per lei il marchio unico ha una buona riuscita solo nel breve termine cioè quando le grandi cantine fanno da propulsori. “Ha provato a farlo la Sicilia. Alla fine – ha detto – si crea un buco commerciale verso le grandi e si marginalizzano i piccoli. Io sono contraria. La forza della Toscana ma soprattutto della provincia di Siena è proprio il lavoro di tante famiglie in piccole aziende”

Insomma per Cinelli Colombini creare un unico brand sarebbe un fiasco. E non nell’accezione letteralmente positiva del termine. Certo è che vi è un’ambivalenza tra il bisogno di crescere e quello di mantenere intatta l’identità custodita proprio dalle piccole e medie imprese. Il dibattito, com’è stato per la Doc delle Venezie, è ancora embrionale. Sarà solo il tempo a determinare se si tratterà di un pour parler o di una reale intenzione. Nel frattempo restiamo alle certezze: il vino toscano è una delle più grandi eccellenze italiane. 

 

Vino Toscano: Trump e Brexit, c’è o no da avere paura?

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Qui più che di posizioni opposte potremmo parlare di preoccupazione e serenità. Per qualcuno nessuna delle due cose arrecherà danno. Per altri i danni potrebbero invece prima o poi esserci e abbattersi come una scure sul sistema toscana. In questo caso di può fare affidamento su poche cose: la certezza di essere un’eccellenza innanzitutto. La capacità di interagire con il nuovo assetto politico e sociale che si sta definendo in Paesi così importanti sarà determinante.

Ma sul se queste realtà potranno davvero influire sul vino italiano lo dirà solo il tempo. A temerlo, soprattutto se parliamo di Trump, è il direttore del Consorzio del Chianti Classico Giuseppe Liberatore. Già pronto ad un’azione di lobbying per la protezione del marchio. La sua paura è per le tasse d’ingresso delle merci estere che il presidente vorrebbe imporre. Una bottiglia del Gallo Nero negli States ha un prezzo pari 40-60 euro. Le tasse lo farebbero lievitare inducendo al non acquisto.

Di parere totalmente opposto uno dei big del vino toscano: Piero Antinori. Per lui il vino italiano e toscano sono solidi negli Usa. Nessuna modifica di Trump per eventuali dazi doganali o azioni protezionistiche, a suo parere, avrà conseguenze sul nostro vino. Stessa cosa per la Brexit. “I vini italiani di qualità stanno continuando a fare passi avanti al contrario di quanto si immaginava”. 

 

Crediti fotografici foto 1 e 2 partendo dall’alto Flickr CC entrambe di Nadia Fondelli