Proseguiamo il nostro viaggio tra gli autoctoni “quasi” dimenticati parlando oggi della Bianchetta Genovese. La terra. La vite. Il vino. I popoli. Simboli e realtà che, solo pronunciati, raccontano storie di uomini e del loro vagare. La terra che si lascia o cui si ritorna. La terra cui si approda. Quella che si attraversa. La terra dove mettere radici. Quella dove ricostruirsi. La terra dove lavorare, produrre e godere del proprio lavoro. Il vino da bere e offrire. L’unione e il connubio di uomini e popoli che nella terra tornano ad assumere nuovamente quei ruoli che la storia ha sopito quando il benessere sembrava alla portata di tutti. 

Le migrazioni sono oggi, di nuovo, popoli che attraversano le terre. Quelli che le lasciano, quelli che vi approdano; quelli che le attraversano; quelli che le coltivano. Tutti, sulla terra dove passano, mettono le radici dei loro sogni. E il sogno è quello di poter un giorno magari tornare sapendo però di aver lasciato traccia di sé. Accade così che in Liguria i migranti coltivino le vigne in nome di una tradizione storicamente per loro lontana, ma umanamente incredibilmente vicina. Non solo per i galeotti: le vigne sono anche per loro. E il frutto del loro lavoro è un vino della tradizione tutta italiana: la Bianchetta Genovese. Questa è la storia dei migranti accolti dalla diocesi del capoluogo ligure. 

 

Bianchetta Genovese: il progetto della diocesi per integrare e recuperare.

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E’ sempre una questione di memoria. In questo caso la nostra. E a riportarla alle nostre menti e presto, sperano i promotori del progetto, anche nei nostri calici. Recupero di antichi vitigni, messa in sicurezza di un territorio fragile e integrazione. Con questi obiettivi la Fondazione Migrantes e i responsabili dell‘Orto Collettivo hanno avvito un programma di formazione rivolto ad alcuni giovani richiedenti asilo. Si tratta di gran parte di africani. Sono loro, da qualche mese a questa parte, a lavorare i terreni di proprietà dell’Ospedale Galliera.

Dati in concessione proprio per portare avanti questo progetto l’obiettivo è dunque duplice. Far sì che i migranti si integrino e recuperare un’antica tradizione enologica della Valpolcevera: la Bianchetta. L’auspicio è che “il vino della tradizione possa diventare davvero segno di nuovi innesti”, come ha ben detto Monsignor Giacomo Martino, responsabile della Fondazione Migrantes.

 

Bianchetta Genovese: la Valpolcevera e il suo vitigno autoctono citato da Stendhal.

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Siamo in una conca naturale circondata dalle colline che scivolano verso il mare. E’ qui che sorge Genova. Un terreno fragile, ma amato e tutelato che ancora oggi racconta la storia antica di un territorio citato già come “Purcifera” da Plinio il Vecchio che sorge su uno dei due bacini fluviali che delimitano a ponente e levante il nucleo storico della città. il torrente Polcevera. E’ qui che nasce e matura la Bianchetta Genovese, vitigno a bacca bianca autoctono della liguria coltivato, sin dall’antichità anche in Toscana nella provincia di Massa Carrara.

Un vitigno vigoroso che, a ponente, è identificato con la Doc di Coronata. E’ proprio qui che, ora, i migranti stanno lavorando le vigne abbandonate: nel quartiere di Genova così chiamato sulla collina dove sorge il santuario di Nostra Signora Incoronata. Il Val Polcevera Coronata si produce con un’alta percentuale di Bianchetta Genovese e la sua bontà è citata persino da Stendhal. Lo scrittore francese, all’anagrafe Marie-Henri Beyle, lo provò durante un suo soggiorno nella città ligure e ne fu così colpito da citarlo nel suo celebre Viaggio in Italia. 

 

Bianchetta Genovese: a due mesi dall’inizio del progetto si pensa già alla Dop e l’Igp.

Bianchetta Genovese - white wine

“Ci auguriamo di arrivare a produrre le prime bottiglie già il prossimo anno”. Questo l’obiettivo di Monsignor Giacomo Martino. Il passo successivo sarà quello di fare richiesta per le certificazioni Dop e Igp. “I ragazzi del progetto – ha aggiunto – nascono quasi tutti contadini: coltivare la terra era la loro attività prima di approdare in Italia e da noi svolgono lavori che la maggior parte dei nostri giovani non vuole più fare”. Attualmente, nella diocesi, sono 260 i migranti ospitati. 70 sono nelle parrocchie. Le “borse lavoro”, compresa questa per il recupero delle vigne di Bianchetta, rappresentano un progetto di formazione e, si spera, integrazione. 

 

Bianchetta Genovese: prima ci fu lo Sciacchetrà delle Cinque Terre…e le polemiche.

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Per ora non si sono alzate voci contro il progetto della diocesi. Ma non si può escludere che ci sarà chi storcerà il naso. E’ accaduto ad agosto quando la Caritas ha avviato un progetto simile per la produzione dello Sciacchetrà nelle Cinque Terre. Ad alzare i toni, in quel caso, fu la consigliera regionale Stefania Pucciarelli della Lega Nord lamentando l’impiego di stranieri al posto di quelli italiani. Secca fu, in quel caso fu la riposta della presidente del Consorzio produttori Sciacchetrà: “il nostro territorio è faticoso, non tutti sono disposti a sacrificarsi. Al primo corso che abbiamo organizzato su sei posti destinati agli italiani abbiamo avuto solo tre richieste”

Non sappiamo se anche in questo caso si solleveranno polemiche. Quel che è certo è che per creare integrazione bisogna far sì che il patrimonio culturale di un Paese entri in qualche modo a far parte anche del bagaglio culturale di chi vi approda. E quello enologico, in Italia, è di certo uno di quei patrimoni unici che conferiscono al nostro Paese una grande identità.