In dieci anni tanti i passi avanti sono stati fatti e tanti se ne devono fare, ma che la viticoltura sia anche una cosa da afroamericani è ormai una certezza

Abbiamo visto come per conquistare millenial e generazione Z l’inclusione è uno dei temi su cui il mondo del vino deve spingere. E che qualcosa nel mondo si muova ce lo dice uno dei Paesi più multietnici del mondo: gli Stati Uniti.

L’inclusione riguarda tante cose. Ci sono le donne, ad esempio, ma ci sono anche le minoranze o presunte tali. Da una decina d’anni negli Usa, spinti ancor di più dal movimento del Black Live Matter, quello dei neri ha avuto una spinta fortissima, anche nel mondo dell’enologia.

Pochi i passi in avanti, ma importanti. E se un risultato si è raggiunto è certamente quello del quanto si parla oggi del fenomeno tanto che, in pochi giorni, persino Forbes e Wine Enthusiast sono tornati ad occuparsene. Quella dei neri nella viticoltura americana, in realtà, è una storia antichissima che ci ha però messo secoli ad affermarsi e sebbene una nuova strada si sia tracciata, ce n’è ancora tantissima da fare.

Una rivoluzione lenta, ma inesorabile: gli afroamericani hanno chiesto di essere “visti”, ora devono essere “ascoltati”

Partiamo dall’interessante articolo apparso su Forbes che è tornato a sentire Julia Coney, fondatrice della risorsa online Black Wine Professionals due anni dopo la prima intervista rilasciata per capire se e cosa si sta muovendo in tema di inclusione.

D’altra parte, a pensarci, le peculiarità dei vini non sono forse le loro differenze? Eh sì. Differenze che sono sempre una forza e un’identità. Tra l’altro, questo il presupposto, si sottolinea come proprio afroamericani siano il 29 per cento degli appassionati di vino secondo un sondaggio Nielsen del 2016 e probabilmente da allora c’è stato anche un incremento.

La presa di coscienza del fatto che le persone di colore hanno ormai un ruolo nel mondo del vino ormai c’è, ora è tempo di ascoltarli.

Che le cose inizino a cambiare d’altra parte lo dimostra anche il fatto che proprio Coney nel 2020 ha ottenuto un “Social visionary award” da Wine Enthusiast che come vedremo a breve tiene acceso il faro su questo fenomeno sociale che strizza l’occhio (giustamente) all’inclusione. Non solo. Il Wine Industry Network l’anno scorso l’ha nominata una delle persone più stimolanti del vino e ora è anche consulente per l’American Airlaines.
Far rumore nel modo giusto, complici i social network che proprio dei giovani sono pane quotidiano, serve.

Passi avanti importanti, ma tanti ne devono essere ancora fatti sebbene l’attenzione sul vino delle aziende guidate da persone di colore stia crescendo e questo è un bene, ma sarà meglio quando la distinzione non la si farà più e allora sì che si potrà parlare di inclusione.


L’inclusione “black” è anche un dovere perché gli afroamericani hanno avuto un ruolo primario nella viticoltura degli States ed è tempo di riconoscerlo

Tra i volti più importanti di questa lenta ma inevitabile rivoluzione è Tonya Pitts, sommelier e direttrice del vino One Market di San Francisco che sta costruendo una vera e propria narrativa del cosa significhi essere un professionista del vino afroamericano e tracciando dunque un nuovo futuro.

Di questo parla l’interessante articolo apparso su Wine Enthusiast. Sì perché un ruolo nel mondo del vino i neri ce l’hanno da secoli ed è da qui che parte questa nuova narrazione. Un ruolo non riconosciutogli ovviamente dato che erano schiavi in quei vigneti e neanche retribuiti. Schiavi elemento chiave nella narrazione che del vino degli States di un appassionato del nettare di Bacco che viveva a sud. Siamo nel 1850 e nel racconto riportato in A History of Wine citato dalla rivista, proprio loro sarebbero stati la chiave per fare del sud degli Stati Uniti il più grande paese vinicolo del mondo.

Si ricorda anche l’American Hostead Act del 1862 che i terreni li dava soli ai bianchi per arrivare al 2002 quando visto questo passato fatto di disuguaglianza, il 98 per cento dei vigneti erano di proprietà dei bianchi. Si dovette infatti aspettare il 1940 perché il primo nero avesse la sua di attività: era John June Lewis che fondò la Woburn Winery, la prima azienda vinicola di proprietà di un nero registrata nella storia.

Eh sì perché per scriverla una nuova storia ci vuole sempre una prima volta. Se è vero che ad oggi i produttori neri degli Stati Uniti sono meno dell’un per cento con in totale 70 aziende di proprietà, è però vero che l’Association of African American Vintners ha incrementato il numero degli iscritti del 500 per cento tra il 2020 e il 2022.

Sì qualcosa sta cambiando, ma le sfide sono tante a cominciare da quella di ottenere prestiti anche se, anche in questo senso, qualcosa si muove ad esempio con le opportunità di finanziamento offerte dal The Roost Fund o le borrse di studio messe a disposizione dalla stessa associazione.