Da Oriente a Occidente, il suo passato ci racconta di intuizioni e innovazioni. Il boom in Europa? Con la Restaurazione. E dai romani c'è sempre da imparare

La ristorazione riparte tra tanti dubbi e paure, ma anche speranze. Sin dall’inizio della pandemia abbiamo scelto una linea: quella dell’ottimismo. Inutile negare le difficoltà, nè la particolarità del momento che stiamo vivendo. Quello da cui siamo stati investiti è stato un vero e proprio cambiamento storico a cui, come sempre accade, non potevamo di certo essere preparati.

Da occidentali a cambiamenti radicali non eravamo decisamente più abituati. Dopo il boom economico le regole, non scritte, sono rimaste sostanzialmente le stesse sebbene il tessuto sociale i segnali di cambiamento li mandasse già da qualche decennio. Se è vero che non tutti i mali vengono per nuocere, allora forse anche questa tremenda esperienza può lasciarci qualcosa di buono. Cosa? La consapevolezza di vivere un cambiamento epocale. Per noi una novità, per l’umanità no. E se è vero che le situazioni peggiori possono trasformarsi in opportunità a dimostrarcelo è come sempre quella cosa di cui, a torto, non parliamo troppo spesso: la storia!

Negli ultimi giorni ci siamo imbattuti in alcuni articoli piuttosto interessanti e così ci siamo trovati a scoprire o se preferite riscoprire, che se c’è un settore che in piena crisi ha saputo affermarsi con forza è proprio quello che oggi definiamo Horeca. Possibile? Beh provate a chiederlo ad un francese vissuto in piena Rivoluzione….rigorosamente con una seduta spiritica!

 

La ristorazione nel post-pandemia: c’è voglia di tornare a tavola!

Prima di avviarci in questo excursus storico che è una vera e propria “botta di ottimismo”, guardiamo alla contemporaneità. L’ultima indagine dell’Osservatorio Vinitaly Nomisma Wine Monitor conferma quella che è una tendenza secolare: solo il 23% degli italiani dice che andrà meno al ristorante e in questa fetta ci sono, purtroppo, molte donne del sud che hanno avuto problemi sul lavoro. Un altro annoso problema quello del rapporto donna-lavoro per il quale sarebbe ora di fare quel salto di qualità che elimini quella che resta una vera e propria discriminazione. Sta di fatto che il 58% degli italiani ha invece dichiarato che tornerà a sedersi ai tavoli dei ristoranti senza alcun problema con il 45% di questi che, comunque, vuole avere la certezza che le misure di sicurezza siano rispettate.

Uno scenario in cui il vino si avvale di un canale naturale che vale, al consumo, 6,5 miliardi l’anno. Insomma se è vero che le giacenze ci sono è anche vero che bisogna guardare al domani con una certa positività. Bisogna solo comprendere che sì, quella che viviamo è quella che potremmo definire una rivoluzione globale. Ogni evento storico segna cambiamento in tutto il globo, ma una pandemia le regole del gioco le cambia, all’improvviso, proprio per tutti.

 

In Oriente il settore si afferma già nell’a.C.! Dalla Cina al Giappone tra “produzione locale”, “stagionalità” e menù degustazione

Il ristoro dei mercanti

Il bisogno di convivialità ci accompagna da sempre. E abbiamo scoperto, grazie ad un interessante articolo apparso su History, che in Oriente la modernità era arrivata ben prima che in Europa e a quanto pare contaminazioni, nonostante gli scambi commerciali, non ce ne sono state. La cosa interessante, infatti, è come la ristorazione, nel mondo, si sia sviluppata in modi differenti arrivando oggi a confluire in una globalità che, comunque, ha sempre bisogno di una specifica connotazione.

Da queste parti la “ristorazione” è arrivata ben prima, se parliamo in termini di modernità, che in Europa. E’ quanto si afferma nella ricostruzione del libro Dining Out: A Global History of Restaurant scritto a quattro mani da Elliott Shore e Katie Rawsan. In Cina i primi ristoranti risalirebbero addirittura al 1100 a.C. D’altra parte le città qui erano già popolosissime arrivando ad ospitare fino ad un milione di persone. Ed è incredibile come, per una mera questione di gusto, l’offerta si differenziasse. Sì perché i commercianti del sud si portavano dietro i loro prodotti e viceversa. Non c’è che dire: antesignani del ristorante etnico!

Prodotti che venivano commercializzati in veri e propri distretti riservati dove non mancavano hotel, bar e bordelli. Un’offerta a 360 gradi che sembra uscita dal 21esimo secolo. E non mancavano i luoghi raffinati, sostengono gli autori. Anzi, c’è di più. Secondo un manoscritto del 1126 in queste occasioni si svolgevano quelle oggi chiameremmo vere e proprie cene di degustazioni condotte da camerieri che erano anche un po’ teatranti o se preferite, show man. Sì perché gli ordini alla cucina li cantava riuscendo a portare, sembrerebbe, anche 20 piatti insieme. Inutile dire che un errore poteva essere fatale!

 

Alla ricerca della perfezione

Il Giappone non era di certo da meno anche se qui la ristorazione si può dire essere nata nel 1.500 nelle case da tè. E anche in questo caso stupisce il fatto che il concetto di prodotto “locale” e “stagionale” andassero per la maggiore. Termini che oggi sono tornati quanto mai preponderanti. I menù? A quanto pare li dobbiamo allo chef giapponese Sen no Rikyu che all’epoca ha cerato la tradizione kaiseki a più portate, con tanto di carta degustazione per spiegare la provenienza di ogni prodotto. I suoi nipoti ci hanno aggiunto la cura della presentazione a tavola, con posate e piatti di pregio, e quella che conosciamo come mis en place.

 

La ristorazione in occidente nasce come bene “popolare”. La Rivoluzione francese? Lo spartiacque con la modernità

Ph: l’art du cuisinier – Francia 1814

E l’Occidente? Beh più o meno nella stessa epoca in cui Rikyu preparava i suoi meù, in Francia nasceva il tavolo d’hôte, un pasto a prezzo fisso consumato a un tavolo comune. Una sorta di aperitivo cenato a buffet moderno se vogliamo dove socializzare era facilissimo. Certo dovevi essere seduto alle 13 in punto o non venivi servito. Avevano una connotazione molto popolare e assicuravano un pasto anche a chi non sguazzava nell’oro come nel 1714 avveniva in Inghilterra con la Fish Dinner House di Simpson riservata proprio agli operai.

Una vera e propria mensa dove con due scellini mangiavi “pesce comune, una dozzina di ostriche, zuppa, pernice arrosto, altre tre primi piatti, montone e formaggio, stando al libro pubblicato.

A nobilizzare la ristorazione, sempre in Francia, è stato il brodo. Gli studi sembrano smentire la leggenda secondo cui fu la Rivoluzione francese a cambiare il mondo della ristorazione. Una rivoluzione capitanata dai cuochi rimasti, con la fine della nobiltà, disoccupati. Una versione decisamente intrigante che ci piace pensare un fondo di verità lo abbia. E seppur non lo fosse, averla tramandata, è la testimonianza di come, da sempre, si creda che un cambiamento, anche drammatico, possa trasformarsi in una grande opportunità.

Della questione si è occupata la storica Rebecca Spang. La parola ristorante deriverebbe dunque dal verbo francese “restaurarsi” con i ristoranti che sarebbero nati già qualche decennio prima della rivoluzione con il brodo a fare da protagonista. La differenza però, la faceva la modalità in cui questo veniva servito. E udite udite: sì anche i francesi avevano un menù…fisso! Diremmo che essendo una ristorazione rivolta molto ai commercianti viaggiatori, qui il menù turistico andava per la maggiore!

L’esempio storico più importante è quello di Antoine Beauvilliers che nel 1782, sette anni prima della Rivoluzione. Un vero e proprio ristorante di lusso il suo. D’altra parte era un vero chef che, lasciato il servizio del conte di Provenza, aprì in rue de Richelieur il suo ristorante e ci sapeva fare. Conosceva i suoi clienti, li chiamava per nome e agli stranieri parlava nella loro lingua piroettando per la sala con una spada al fianco. E sì: costava!!!

Quando c’è stato il boom della ristorazione: in piena Restaurazione. Che dire, la crisi aguzza l’ingegno!

 

Se si parla di mercanti non si può non parlare di Italia! Nelle tabernae romane distanziamento sociale e ampie Carte dei vini!

E l’Italia? Nel lungo articolo di history non è citata, ma ci permettiamo di aggiungere qualche parola. L’enogastronomia ha sempre avuto un ruolo importane e Roma, ancora una volta, ha molto da insegnare. Inutile dire che Roma è il fulcro del commercio. Nella capitale arrivavano commercianti da tutto il mondo e l’offerta di cibo era quanto mai variegata.

Anche dalle nostre parti il servizio di ristorazione pubblica è nato con fiere e mercati. e si poteva trovare di tutto in quelli romani: dagli arancini siciliani, ai frutti di mare crudi pugliesi, fino alle olive all’ascolana, le piadine romagnole, le focacce liguri e ovviamente la porchetta di casa.

Le antiche tabernae sono forse il più grande esempio di condivisione culinaria per l’epoca. E non c’è che dire: la loro architettura, ancora oggi modernissima, sarebbe proprio da rivalutare in tempo di post pandemia. Vere e proprie osterie dove il vino si vendeva al dettaglio e prevedevano un ambiente ad hoc all’esterno. Un grande bancone in muratura permetteva a tutti di gustare cibo e vino…non c’è che dire: oggi sarebbe un perfetto tavolo da distanziamento sociale! Una curiosità: secondo Plinio la “Carta dei vini” ne prevedeva beh 80 qualità. Certo oggi dovremmo portarla al tavolo digitale, lo dice anche l’Istituto Superiore di Sanità e noi, cari ristoratori la soluzione ce l’abbiamo a portata di click!