Contro la siccità attivano i 'portainnesti M', frutto di una ricerca decennale dell'Università di Milano e ripartita pochi anni fa con Winegraft e 9 tra le più importanti aziende vitivinicole italiane, ha dato i suoi frutti all'insegna della sostenibilità

Non molto tempo fa vi abbiamo parlato di un’esigenza sempre più impellente: la resistenza della vite. I cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova molte zone ad alta vocazione vitivinicola, Italia in primis. A soffrire di più, infatti, sono i luoghi dove, da sempre le viti e le loro uve maturano. Ma l’innalzamento delle temperature sta modificando totalmente lo scenario “storico” di questi luoghi e di consuguenza le piante si ammalano, si seccano e soffrono sempre più una situazione in così rapida evoluzione.

Se storicamente ad avviare lo studio delle viti e la loro resistenza, parliamo dell’800 sono state le fitopatie, oggi sono, oltre al clima, la crescente necessità di acqua per la coltivazione della vite che ne mina l’idea di sostenibilità, l’estendersi dei fenomeni di salinità dei terreni il bisogno di utilizzare meno fertilizzanti in vigna.

Quella della resistenza della vite è una tematica che tiene vivo il dibattito e che trova diverse posizioni nel mondo del vino. La cisgenetica è certamente quella di cui si parla di più negli ultimi anni. A portarla avanti con convinzione è, ormai da decenni, il professor Attilio Scienza. Un luminare nel suo campo. Qualunque sia la posizione verso la sua visione, certo è che la sua ricerca è instancabile e così, a oltre trent’anni dall’inizio dello studio sui portainnesti arrivano i primi risultati. Sul fronte del risparmio idrico in cantina le buone pratiche sono realtà. Ora lo è anche la vite che consuma il 30% di acqua in meno. Una notizia che di certo va enfatizzata e approfondita dato che arriva proprio nell’anno più complicato degli ultimi ’70 anni della vendemmia in Italia.

 

Vite a risparmio idrico: se impiantate in Lombardia si risparmierebbe tanta acqua quanto due volte il Lago d’Iseo

 

vite a risparmio idrico vite-bianco-e-nero

 

Un’estate torrida. Una vendemmia difficile che potrà probabilmente portare un’ottima qualità, ma che ha fatto registrare nel nostro Paese, ma anche in Francia e Spagna, un vero e proprio crollo in termini di quantità. La causa? La siccità seguita alle gelate e le grandinate. Dal cielo di acqua, nella gran parte d’Italia, non ne scende da mesi. La conseguenza è stato un utilizzo spropositato di acqua per salvare il salvabile.

Proprio nel corso di una vendemmia così complessa, arrivano i risultati di una ricerca iniziata più di trent’anni fa, poi arrestatasi, e ripartita solo pochi anni fa. Quella portata avanti dal professor Attilio Scienza, l’Università di MIlano e le imprese vitivincole riunitesi in Winegraft: la vite “a risparmio idrico” è realtà.

I primi risultati della sperimentazione avviata in alcune aziende di varie regioni italiane hanno dimostrato che i “portainnesti M” sono incredibilmente sostenibili. Quattro quelli su cui si è lavorato, quelli che sono già stati iscritti nel Registro nazionale delle varietà. Viti che richiedono il 25-30% di acqua in meno per concludere il loro ciclo vegetativo. “Tradotto in numeri – viene spiegato – se consideriamo una produzione media ad ettaro di 120 quintali di uva per 85 ettolitri di vino, con un consumo annuo di calcolo, secondo i calcosi dell’associazioen Water Footprint Network, di 81.600 ettolitri, con l’utilizzo degli M si risparmierebbero 24.500 ettolitri di acqua a ettaro ogni anno”.

Un esempio concreto? Se tutti i vigneti della Lombardia fossero stati di questo tipo già nel 2016, sui 14,7 milioni di ettolitri di vino prodotti, si sarebbero risparmiati 426 milioni di ettolitri d’acqua. Pari a due volte e mezzo il Lago d’Iseo.

 

 

Vite a risparmio idrico: cosa vuol dire portainnesto? E’ arrivato il tempo della viticoltura post-moderna?

 

vite a risparmio energetico grappolo-uva

 

Per capire di cosa stiamo parlando, senza entrare troppo nei tecnicismi, è importante comprendere il significato di certe terminologie. Attilio Scienza è da sempre un sostenitore della cisgenetica. Pratica che, ha sempre sostenuto, non ha nulla a che vedere con le modifiche genetiche degli Ogm. 

Ma cosa inendiamo con portainnesto? Tanto per cominciare, e lo diciamo agli sciettici, non è un termine coniato ieri. Al contrario, è stato proprio attraverso la creazione dei portainnesti che, nel secolo scorso, si è riusciti a sconfiggere la filosserla, la malattia della vite causata dall’omonimo insetto che portò ad una vera e propria catastrofe. L’intuizione la ebbe nel 1880 il professor Planchoin di Montepplier innestando tra loro i tessuti di due piante. Una chiamata appunto ‘portainnesto’, scelta per le sue caratteristiche di resistenza, l’altra, la cosiddetta ‘marza’ scelta per foglie, fiori e frutti. Impiantando le viti su una radice americana, Planchoin di Montpellier sconfisse la filossera.

 

La viticoltura post – moderna

Oggi, cambiate le problematiche, è necessario trovare nuove soluzioni per far sì che le viti continuino ad esistere nei luoghi dove sono da sempre. Ecco perché negli anni ’80 il gruppo di ricerca coordinato da Scienza ha avviato un nuovo studio sui portainnesti. Lo stop per le scarse risorse economiche è durato molto, e cioè fino a quando Winegraft non ha deciso di sostenerla e nel 2016 Vivai Cooperativi Rauscedo ha portato sul mercato le prime 30mila barbatelle dei principali vitigni italiani su “portainnesti M”.

Il fine è quello di garantire la sostenibilità. Come affermò Scienza stesso “le viti reagiscono diversamente alle malattie. Siamo interessati ai casi positivi, a quelle viti che ce la fanno sa sole. E’ l’Europa a chiederci di eliminare i trattamenti”. E la cisgenetica è una delle vie che si percorrono per raggiungere tale obiettivo. Una strada che, con l’Università di Milano hanno intrapreso 9 importanti aziende vitivinicole italiane. Parliamo di Ferrari, Zonin, Bertani Domains, Albino Armani, Banfi, Nettuno-Castellare, Cantine Due Palme, Caludio Quarta e Cantine Settesoli.


“Il primato nella water footprint dei portainnesti M – ha commentato il presidente di Winegraft Marcello Lunelli, vice presidente di Cantine Ferrari – testimonia efficacemente quanto stiamo sostenendo da tempo e cioè che, investire in sostenibilità ambientale produce effetti positivi diretti anche nella sostenibilità economica delle imprese”.

 

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