La lettera aperta di Gianluca Morino ai vignaioli direttamente da New York. Ecco come gli statunitensi ci vedono, quanto amano il nostro vino, ma quanto il nostro "orticello" condiziona la nostra capacità di fare business.

Nizza e Barbera sono i suoi vini di punta, ma nella sua azienda del Monferrato, Gianluca Morino porta avanti un’attività storica. E’ infatti dal 1900 che la Cascina Garitina (che il nome lo prende dal dialettale di Margheritina, come si chiamava la sua bisnonna), porta avanti l’attività di familia in una delle zone a maggior vocazione vitivinicola in Italia. Ma se il passato è l’insossidabile ossatura, il presente, o ancor meglio il futuro, è ciò su cui cresce e si modella questa bella realtà piemontese. Morino è uno di quei vignaioli che oggi definiremmo 2.0, uno di quelli che ha compreso l’importanza di guardare al mondo del vino andando oltre il proprio “orticello”. E “orticello” è una delle parole che utilizza nella sua lettera aperta pubblicata da Vini al Supermercato.

Una lettera aperta che arriva da New York e che non appare né come un rimprovero, né come un esercizio di saccenza. Al contrario è una lettera “di cuore”, così la potremmo dire, di un vignaiolo che ha saputo davvero uscire dal cosiddetto “orticello” e che racconta e si racconta in una realtà, quella statunitense, che sappiamo essere una delle roccaforti del nostro export. Eppure, nonostante il vino italiano sia lì così apprezzato, sappiamo anche che dopo molti anni la Francia ci ha raggiunti. Le ragioni, abbiamo avuto modo di parlarne, sono molteplici. Ecco che allora, da vignaoiolo Morino racconta il rapporto degli americani con il vino proprio da lì.

D’altra parte, lo scrive “sicuramente gli americani, che noi spesso pensiamo distanti, sono quelli che più stanno influenzando il mondo del vino e non solo per essere il mercato numero uno del pianeta”. Ci limitiamo a riportarne un breve passaggi, invitandovi poi a leggere l’intera lettera e trarre le vostre conclusioni.

 

 

mercato del vino

Gianluca Morino: lettera aperta all’Italia del vino. Dagli States

 

“(…) Una cosa interessante sarà il futuro del vino in USA, che per anni è rimasto ancorato a una classe sociale di bianchi con un buon indice di scolarizzazione mentre, ora, generazione dopo generazione, stanno entrando nuovi attori. Gli afro americani e gli ispanici, soprattutto millennials, si stanno avvicinando al vino ed iniziano a consumarne ma, attenzione, spesso hanno gusti, palato e abitudini diverse, per cui chissà che evoluzioni porteranno al mercato amando soprattutto vini dolci o con un finale morbido quasi dolce. In mezzo a tutte queste cose tu ti ritrovi a vendere Barbera d’Asti che, al di fuori di alcune isole felici come NYC, è difficile da proporre perché semplicemente non la conoscono”.

“E qui c’è il fulcro del discorso perché, mancando comunicazione e marketing, il vino si ritrova solo in balia delle onde e, quando trovi un’attività interessata a proporla, comunque la Barbera deve essere vicina a standard gustativi minimi prossimi di una certa omologazione del gusto internazionale. Per quello che non si può più pensare di andare avanti così, ma bisogna affrontare il trade senza paura e cavalcare, con comunicazione, marketing e web, il mercato con le sue esigenze, debolezze, punti di forza ed opportunità. La grande differenza con la Francia sta tutta qui: con fatturati in crescita in USA e con una qualità percepita notevolmente più alta della nostra”.

 

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