La ricerca di Nomisma per conto dell'Istituto Marchigiano di tutela dei Vini parla chiaro: i bianchi piacciono di più. La regione è tra quelle che fa meglio, ma lo strapotere è decisamente friulano

La complessità del mercato del vino si traduce in molteplici sfaccettature. Una di queste è certamente la differenza che si trova nel guardare le Carte dei Vini e analizzare i mercati. Per intenderci: non sempre ciò che vende di più è ciò che poi troviamo al ristorante. Una diversificazione che spinge non solo a fare meglio per promuovere le proprie eccellenze, ma che non è neanche un male assoluto. Il fatto che molte piccole cantine riescano a trovare spazio là dove nei mercati faticano per il dominio delle grandi, è la testimonianza di quella biodiversità che ci rende tanto unici.

E proprio la biodiversità fa la differenza su Carta. La fa laddove si esprime bene la territorialità. Termini che si traducono in un aggettivo che piace sempre di più: autoctonicità. In una scacchiera tra bianchi e neri (rossi nel nostro caso) non c’è che dire: i bianchi guadagnano sempre più apprezzamento. Sarà che le donne li prediligono e che proprio loro sono spesso quelle che scelgono cosa si beve una volta seduti al proprio tavolo, sarà che il vino bianco è in alcuni territori italiani una garanzia di qualità, quel che è certo è che sono loro a spadroneggiare sulle Carte dei Vini dei ristoranti italiani.

Lo conferma una ricerca condotta da Nomisma per conto dell’Istituto Marchigiano di tutela dei Vini che stila un’interessante classifica.

 

Carta dei Vini: l’autoctono bianco vince su tutti e si prende metà dello spazio

 

carta dei vini uva bianca

 

Stando all’analisi di Nomisma che ha intervistato 220 rappresentanti tra sommelier, titolari di ristoranti e cuochi, nella costruzione de la Carta dei Vini gli autoctoni occupano il 67% dello spazio. Doppiano quindi le denominazioni presenti per il 32%, i grandi brand che si prendono una fetta di poco più grande (38%) e scalzando decisamente i vini biologici cui è dedicato il 29% della Carta.

Su 126 etichette, insomma, 64 sono di vitigni autoctoni rigorosamente bianchi. Se poi parliamo di ristoranti di alta fascia la percentuale aumenta: 106 etichette su 126 sono rappresentate da questa tipologia di vino. Una conferma per la tendenza dei vigneti che si era già ben delineata decretando nel 2015 un vero e proprio exploit per la bacca bianca

 

Carta dei Vini: le regioni più presenti tra certezze e belle sorprese

 

Friuli Venezia Giulia, Alto Adige, Sicilia e Marche. Arrivano da qui le etichette più presenti nelle Carte dei Vini. E in effetti sono tutte regioni a grande vocazione per i vini bianchi autoctoni. Le differenze percentuali parlano chiaro: il Friuli ha una marcia in più. Sulla Carta rappresenta il 40% delle presenze con i suoi vini. Seguono a poca distanza l’una dall’altra l’Alto Adige (15%), la Sicilia (9%) e le Marche (7%).

E’ vero che c’è una differenza tra i mercati e la presenza dei vini sulla Carta, soprattutto quando parliamo di export. Ma le tendenze degli acquisti, nel mercato interno, hanno il loro peso. Lo testimoniano i dati della Coldiretti che ha decretato proprio la Ribolla Gialla come il vino più venduto nel 2016. Autoctono friulano che, tra l’altro, ha aumentato le vendite del 30%. 

Una top 10 quella Coldiretti dove 6 dei vini sono bianchi con non a caso l’autoctono friulano, uno dell’Alto Adige (Traminer) e due marchigiani coltivati anche nel vicinissimo Abruzzo: Passerina e Pecorino. Vitigni, questi due, che confermano il perché di una così buona presenza dei vini delle Marche sulle Carte dei Ristoranti come decretato da Nomisma. La segue proprio l’Abruzzo con dopo di lei Trentino, Veneto (che è nella top 10 Coldiretti con il Custoza), Campania, Piemonte e Valle d’Aosta. 

 

Carta dei Vini: gli autoctoni bianchi nei ristoranti italiani tra underachiever, emergenti, immancabili e onnipresenti

 

carta dei vini ristorante

 

L’autoctono dell’Emilia Romagna, il Pignoletto, altro bianco nella Top 10 Coldiretti, è tra i vini emergenti in quanto a presenza su Carta insieme ai due autoctoni marchigiani già citati: Passerina e Pecorino. Tra gli ‘immancabili‘ oltre all’altro bianco marchigiano, il Verdicchio, il Traminer dell’Alto Adige e il Friulano, spicca la Campania con Flanghina e Fiano e il Vermentino, l’autoctono a bacca bianca diffuso prevalentemente in Sardegna e nella costa tirrenica della Liguria e della Toscana.

Gli Underachiever, cioè quelli che potrebbero fare di più? A sorpresa Glera, Garganega, Catarratto e Trebbiano. Rispettivamente traducibili il primo e il secondo i Prosecco e Soave. Ed è questa forse un po’ la sorpresa considerando soprattutto il grande momento che il primo sta conoscendo.

Onnipresente un solo autoctono: il Moscato preferito nella versione dolce.

Se poi entriamo nel dettaglio vediamo come proprio il Traminer è quello più presente. Nell’84% delle Carte dei Vini c’è. In quanto a presenza batte persino il Moscato presente per il 78% delle volte. Segono il Tocai Friulano (74%), il Vermentino (73%), il Fiano (69%) e il Verdicchio presente sulla Carta di 65 locali su 100. Ecco quindi Flanchina, Trebbiano, Cataratto, Garganega, Pecorino, Glera, Passerina e Pignoletto.

 

Carta dei Vini: le Marche ci sono, ma la presenza non rispecchia il suo andamento nei mercati

 

E’ questa la conclusione cui è giunta l’indagine Nomisma. Verdicchio, Pecorino e Passerina sono presenti in 7 ristoranti su 10. Primo per presenza proprio il Verdicchio (65%) seguito da Pecorino (46%) e Passerina (35%). Come già detto in precedenza anche per i bianchi delle Marche si conferma la tendenza ad esserci di più se parliamo di alta ristorazione. Nei ristoranti segnalati dalle Guide il Verdicchio è presente nell’83% delle Carte e l’85% ha comunque uno dei vini autoctoni della regione con una media di 6 etichette per Carta.

“La classifica – spiega Denis Pantini responsabile di Wine Monitor non riflette la forza sui mercati, ma premia i vini che vincono sul piano dell’identità e la qualità. Marche, Campania e Trentino Alto Adige per esempio, sono tutte regioni con un peso infereiore al 3% del totale della produzione enologica nazionale di vino bianco, ma sono grandi potenze sul mercato d’eccellenza”.

Il direttore dell’Istituto Marchigiano di Tutela dei Vini Alberto Manzoni è soddisfatto, ma sente che c’è ancora molto da fare. “Il Verdicchio – dice – è ben presente nei ristoranti italiani. Lo è ancor di più in quelli di fascia alta. Ma non basta. Il posizionamento nella ristorazione non è lo stesso di quello riscontrato nelle guide o tra i consumatori dove vantiamo 2 primati. E’ importante riuscire a crescere in questo segmento on-trade. Rappresenta un canale fondamentale per l’affermazione più remunerativa del prodotto sul mercato”.

 

Carta dei Vini: bianchi marchigiani? Ve ne consigliamo uno per ogni autoctono…con una piccola eccellenza!

 

carta dei vini vino-bianco

Ph: Marilze Venturelli Bernardes – Flickr (uso e modifiche consentite)

 

Vi è venuta voglia di un calice di bianco marchigiano rigorosamente autoctono? Ve ne consigliamo tre…anzi quattro: una Passerina, un Pecorino, un Verdicchio e…una sorpresa! Iniziamo dalla Passerina. Scegliamo una vera e propria “Chicca” bio. Chicca è il nome della Passerina 100% dell’azienda familiare Pantaleone a pochi chilometri da Ascoli Piceno. Un Igt ottimo a tutto pasto che saprà raccontarvi il territorio. 

Della stessa azienda il Pecorino Onirocep (sì il nome è scritto al contrario). Un Falerio dop perfetto da degustare con un’altra eccellenza del territorio: le olive all’ascolana!

Restiamo sul bio e per il Verdicchio spostiamoci nell’anconetano per assaporare Il Coroncino della Fattoria Coroncino. Un vino dalla forte impronta conviviale.

Chiudiamo con una versione poco nota di questo vitigno. Il Verdicchio, infatti, può diventare anche un ottimo vino da dessert…se vinificato in dolce! Impossibile non cedere alle lusinghe del Marche Igt Arkezia Muffo di San Sisto di un’azienda simbolo della regione: Fazi Battaglia.