A 15 metri d'altezza, nel casertano, una viticoltura eroica del vino secco per eccellenza e delle prime bollicine italiane. Un patrimonio che per costi, cemento e vitigni di tendenza stiamo rischiando di perdere per sempre

Mentre in Trentino è iniziato un percorso di valorizzazione di quei monumenti enologici che vanno sotto il nome di Ambrusche, in Campania c’è n’è un altro che, al contrario, rischia l’estinzione: le viti “maritate” dell’Asprinio d’Aversa. Sono rimasti in sei a tutelare questo patrimonio storico ancor prima che vitivinicolo del nostro Paese. E mentre la regione annuncia (nel 2016) l’intenzione di creare un Consorzio quest’uva bianca a dir poco “eroica” rischia di sparire per sempre col suo vino secco come nessun altro e la sua versione unica delle bollicine.

 

Asprinio d’Aversa: la sopravvivenza delle viti ‘maritate’ messa a rischio da costi, cemento e vitigni più in voga

 

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Persino Slow Food si era mobilitata per tentare di arrestare il declino di un patrimonio enologico e naturalistico. Invece che migliorare, due anni dopo, la situazione è forse addirittura peggiorata. Sono meno di centomila le bottiglie di questo bianco acido e fresco le cui uve sono le uniche a raccontare la tradizione spumantistica della regione. Certo, vista la particolarità del suo allevamento è difficile immaginarla come prodotto di larga scala, ma nessuno, in fondo, ha mai chiesto questo.

Quel che si chiede è che l’eliminazione sistematica che stanno producendo la continua cementificazione, gli alti oneri per la sua coltivazione e la cessione dei suoi terreni all’impianto delle più diffuse Falanghina, Fiano, Greco e ora anche del Pallagrello Bianco, coltivato nella stessa Provincia cioè quella di Caserta, si arresti. E’ una vera mattanza quella che da anni, ormai, l’Alberata Aversana sta subendo. Peggio di quanto paventato per l’espansione, in altri luoghi, di filari di Prosecco e di Nebbiolo.

 

Asprinio d’Aversa: il “grande piccolo vino” eroico amato da Soldati e Veronelli

 

Ph: gallery della cantina I Borboni

Ph: gallery della cantina I Borboni

Quando pensiamo alla viticoltura eroica pensiamo, in prima istanza, a lembi di terra qual è quella del Carso. Quando parliamo dell’Asprinio d’Aversa siamo, al contrario, in una zona totalmente pianeggiante tra i campi Flegrei e quelli che erano noti come Regi Lagni. Sono 22 i Comuni dove questo vitigno, decisamente unico, nasce. E lo fa ad almeno 15 metri di altezza, lungo quelle viti “maritate” avvolte lungo i tronchi dei pioppi dove Loius Pierrefeu, cantiniere d corte di Roberto d’Angiò, nel XIV secolo le poggiò per soddisfare la voglia di spumante del suo Signore. 

Li chiamano “uomini ragno” questi viticoltori coraggiosi. Per vendemmiare si inerpicano su strette scale a pioli camuffandosi, per qualche ora, in equilibristi col fascino dei trampolieri. Strette tra le gambe quelle scale, uniche per ognuno di loro, sono il simbolo di una storia antica e di una tradizione secolare capace di regalare l’unico vino perfetto, per “il moschettiere” Alexandre Dumas, con gli spaghetti e con la pizza. 

 

Soldati e Veronelli

Il problema de La Terra dei Fuochi ha fatto ancor più male a questo vitigno che ora quei sei viticoltori e alcuni imprenditori del luogo cercando di conservare con iniziative utili, ma sporadiche che avrebbero invece bisogno di sistematicità per far sì che il bianco amato da Veronelli non diventi solo un ricordo fatto di foto piuttosto che un presente fatto di gusto e profumi. “Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno”, scriveva Soldati.

“Quando l’ho bevuto – diceva invece Veronelli – mi sono emozionato. Ben lavorato, fragile, elegante. Quello che mi fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”

 

Asprinio d’Aversa: brut e demi-sec, è da lui che nasce il primo spumante veramente secco del Bel Paese

 

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Le teorie su come questo vitigno sia arrivato nell’Agro Aversano sono molteplici, ma la più accreditata resta quella legata ai d’Angiò sebbene affascini l’idea che i Borboni avevano così cercato di creare una sorta di muro naturale per difendersi dagli attacchi degli eserciti nemici. La Doc l’Asprinio d’Aversa se l’è guadagnata nel 1993. L’unica tutela, ad oggi, di questo vino. Secco sì, ma anche spumante. Primo esempio di vinificazione spumantistica d’Italia con Metodo Classico e Metodo Martinotti o Charmat lungo che dir si voglia. 

A conservarne intatto il gusto e il fascino, oggi, sono sei coraggiose cantine: l’azienda Magliulo a Frignano, Masseria Campito a Succivo, La Grotta del Sole di Salvatore Martusciello a Napoli, Vestini Campagnano a Conca della Campania, le Cantine Caputo a Carinaro e I Borboni azienda di Lusciano. Cantina, quest’ultima, cui si deve, grazie all’intraprendenza dell’avvocato Nicola Numeroso la sopravvivenza, almeno fino ad ora, di questo antico vitigno. Eroico nel nascere e nel vinificare. E’ in grotte di tufo profonde fino a 15 metri, infatti, che l’Asprinio di Aversa si trasforma in vino. 

Facciamo nostre le sue parole riportate su World Wine Passione: “il mio mestiere è quello di vignaiolo. Qui nella terra felice che da secoli ospita la mia gente e la sua memoria. Prima Osci e Sanniti, poi Romani, Longobardi, NOrmanni, Spagnoli e ancora Austriaci e Francesi, Borbone e Savoia. Ma da qualsiasi punto si osserva la storia, il vino, questo che è oggi è ancora il mio vino, ha preservata intatta la selvaggia anarchia di questi luoghi, i fascinosi racconti racchiusi in un bicchiere penetrato da uno sguardo o accostato alle labbra”.

Facciamo che il “suo” vino diventi finalmente il “nostro”.