Il progetto delle Cantine PaoloLeo per la salvaguardia degli impianti ad alberello. Diventare "vignaioli onorari" per tutelare il passato di una storia che, perdendosi, non ha futuro.

Ve la ricordate la storia del letto di Ulisse? Il talamo nuziale che costruì per lui e sua moglie Penelope era ricavato da un ulivo secolare. Fu intorno ad esso che costruì poi il suo palazzo. Ne era il fulcro. L’ulivo, così come la vite, ha un legame fortissimo con genti e territorio. Fortissimi i simbolismi che si potrebbero raccontare. Ci limitiamo a sottolineare quello più evidente: il legame culturale della terra con la storia dei popoli e dei luoghi.

Lo abbiamo detto tante volte: se parliamo della vite parliamo di quell’elemento che, con l’ulivo, rappresenta le radici profonde della cultura italiana. Una cultura che si colora di mille sfaccetature rappresentate da quella biodiversità che non soltanto è ciò che ci rende unici, ma che non ha paragoni in nessun altro angolo del pianeta. Ecco che allora proprio per difendere quella biodiversità e per tramandare la storia di chi, la vite, l’ha trasformata in vita, è nato in Salento il progetto “Adotta una vite”. Un progetto delle Cantine Paolo Leo di San Donaci (Brindisi) per arrestare la scomparsa dei vigneti ad alberello. Iniziativa che abbiamo piacevolmente scoperto sfogliando le pagine di Repubblica.

 

Adotta una vite in Salento: salviamo le vigne ad alberello dall’estinzione. E’ questione di memoria culturale

 

adotta una vite in salento

 

Non abbiamo citato Ulisse per caso. Personaggio epico per antonomasia, protagonista dell’opera che più di ogni altra, l’Odissea, affronta il tema del viaggio e del ritorno in patria nonché personaggio illustre de la guerra di Troia raccontataci da Omero prima e Viriglio poi, potremmo considerarlo l’emblema dell’amore per ciò che gli appartiene: la sua terra. Quella dove ogni giorno nei suoi 20 anni di lontananza, desidererà tornare nella speranza di ritrovarvi ciò che vi ha lasciato.

Terra del Salice Salentino, quella dove sorge l’azienda Paolo Leo, è proprio quella dove la vite arrivò dopo la guerra di Troia per mano dei greci. Gli uomini, nei secoli, hanno imparato a coltivarla perfezionando il metodo di coltivazione fino a creare i famosi vigneti ad alberello, patrimonio di biodiversità che rischia oggi di scomparire.

Arrivare in Salento, fino a qualche anno fa, significava trovarsi di fronte a distese di viti basse, piantate senza alcun sostegno, che proseguivano proprio nella spazialità con gli ulivi che ne sembravano quasi i numi tutelari.

Una coltura di qualità, ma certamente difficile che sta pagando lo scotto della modernità e di una visione del vino che pensa a far numeri e, di conseguenza, a sostituire un metodo antico e certamente più complesso e costoso, con uno più diffuso: la spalliera.

L’azienda ha così deciso di metterci la faccia lanciando il suo progetto: adottare una vite, tenere costantemente aggiornati i “genitori adottivi” sulla salute della loro pianta, fotogravie, il vino prodotto, un sacchetto di terra e il certificato di “vignaiolo onorario”.

 

Adotta una vite in Salento: storia sì, ma anche tutela della biodiversità. Così il passato guarda al futuro

 

 

La notizia, l’abbiamo appresa da Repubblica. La spalliera porterà certamente più reddito ai piccoli produttori, ma se questo metodo di coltivazione soppiantasse l’altro non solo si perderebbero decenni di storia (le viti qui superano i 60 anni), ma si rischierebbe di perdere un patrimonio naturale inestimabile. Solo in queste vigne, leggiamo, si trovano biotipi di Primitivo e Negroamaro che i vivai non allevano più. E per due vitigni che stanno varcando sempre più i confini, con il primo che proprio in questi giorni, in Salento, è protagonista di un Master rivolto a Sommelier professionisti e winelovers, il futuro non può di certo prescindere dal passato.

Bella anche la storia che c’è dietro “Dorso Rosso”, la tenuta Paolo Leo dove si producono i vini biologici dell’azienda e da cui il progetto prende il via.

 

Un racconto che sa di magia

Davanti alla Masseria Carritelli, infatti, Paolo Leo e sua moglie, sposati da quasi 34 anni, ci passavano spesso. Il nonno di Paolo lì aveva lavorato come fattore di campagna. Una distesa di vigne e papaveri che, dicevano sempre “un giorno compreremo”. Quel giorno è arrivato nel 2012. Affermato come produttore di vino è stato quasi un passaggio obbligato.

Durante i lavori di ristrutturazione, leggiamo ancora su Repubblica, si è seduto nel grande camino della cucina. Sotto i suoi piedi notò qualcosa di strano. Spostò le pietre e tirò fuori una scatola di legno con dentro un portamonete vuoto e un quaderno proprio con il dorso rosso. Dentro c’era scritto il nome del bisnonno con un appunto riguardante i prezzi dell’uva nel 1923. Non solo. Nella pagine seguenti, in greco, le indicazioni per la realizzazione di un vino. “Il segreto? – si legge sull’articolo a firma di Alfredo Polito – La Maturazione: in botte di legno di rovere ben tostato ma inframmezzato da qualche doga di ciliego”. E’ nato così il Dorso Rosso. E’ nata così l’idea di tutelare un patrimonio che, se dimenticato, cancellerebbe secoli della storia di un intero territorio.

 

Adotta una vite in Salento: sostenere il progetto è cosa buona e giusta

Sono diverse le aziende che ancora praticano questo tipo di coltivazione. Pensiamo, ad esempio a Feudi di Guagnano. Una bella occasione, questa, per condividere un progetto di valore che non guarda al profitto, ma alla qualità e alla tradizione senza per questo rinunciare all’innovazione..

La storia ce lo ha insegnato. La dispersione è un errore. Per fortuna, come capitato con vitigni autoctoni più che con tipologie di coltivazione a dir la verità, ci sono sempre state persone capaci di lottare perché ciò non avvenisse. A fatica, molti, ci sono riusciti. Pensiamo al Cesanese d’Affile tornato a nuova gloria. Alla battaglia dell’Asprinio d’Aversa, all’Accademia del Magliocco o, ancora, alla Spergola e le Ambrusche. Questa volta l’appolto è rivolto a tutti noi. Salvare una vite sarà come salvare milioni di vite…quelle che nella terra salentina hanno portato la vite, l’hanno coltivata e la coltivano ancora.